Terremoto Gb: via Davis e Johnson

Terremoto politico nel Regno Unito.  Il governo guidato da Theresa May perde due pezzi da novanta, prima il ministro per la Brexit, David Davis (sostituito da Dominic Raab) e quello degli Esteri, Boris Johnson. 

Choc politico

Entrambi hanno lasciato in dissenso con la linea immaginata dalla premier per la futura relazione tra Regno Unito e Unione Europea, un piano considerato troppo “morbido” perché contempla ancora l'unione doganale e il mercato unico. Davis, esponente di punta della corrente Tory euroscettica, ha deciso, dopo qualche giorno di riflessione, di non poter evidentemente accettare la nuova strategia più “conciliante”. Sessantanove anni, Davis, aveva sottoscritto la soluzione di compromesso sgradita alla corrente “brexiteers” perché considerata una sorta di “tradimento” della volontà popolare emersa dal referendum del 23 giugno 2016. La nuova linea è improntata sull'apertura all'ipotesi di creazione di un'area di libero scambio post Brexit – con regole comuni – almeno per i beni industriali e per l'agricoltura, oltre che alla definizione di nuove intese doganali con l'Ue. Concessioni interpretate da diversi deputati della corrente dei falchi come un cedimento, ma su cui inizialmente la premier sembrava aver ricomposto una sia pur fragile unanimità in seno al gabinetto, ora rotta da Davis.

Rischi

L'uscita di scena del ministro per la Brexit rischia di essere in effetti l'inizio di un effetto domino (il primo a seguire potrebbe essere il titolare degli Esteri, Boris Johnson) in grado di mandare in pezzi l'esecutivo, la maggioranza e la compattezza del Partito Conservatore. Con tanto di scenario incombente di elezioni anticipate. E le reazioni non si sono fatte attendere. Dal fronte dei “brexititeers”, plausi al gesto “coraggioso e da uomo di principi” di Davis arrivano a tamburo battente da deputati come Peter Bone, Andrea Jenkyns e Harry Smith, mentre molti osservatori danno già per scontata una sfida imminente alla leadership Tory della May. Ex ministro per le Politiche abitative, Raab, è un eurocritico, sostenitore del “leave” durante la campagna per il referendum.