Stangata per Le Pen dalla corte Ue

Stangata per Marine Le Pen, condannata dalla Corte Ue a restituire circa 300 mila euro di rimborsi al Parlamento europeo per l'impiego di un'assistente parlamentare. Per i giudici la leader del Rassemblement National (ex Fn) “non ha dimostrato che tale assistente abbia effettivamente svolto un'attività lavorativa”.

La vicenda

Il 5 dicembre 2016, il Parlamento ha deciso che, per il periodo compreso tra il dicembre 2010 e il febbraio 2016, un importo di 298.497,87 euro era stato indebitamente versato a favore di Le Pen a titolo di assistenza parlamentare e doveva essere restituito. Tale somma corrisponde ai pagamenti effettuati dal Parlamento per una collaboratrice impiegata dalla leader del Rn quale assistente parlamentare locale dal 2010 al 2016. Strasburgo ontestava a Le Pen di non aver fornito la prova dell'esistenza di un'attività dell'assistente locale che fosse effettivamente, direttamente ed esclusivamente connessa al suo mandato. Le Pen ha quindi chiesto al Tribunale dell'Unione europea di annullare la decisione assunta nei suoi confronti.

La decisione

I giudici hanno respinto integralmente gli argomenti di Le Pen sottolineando che il segretario generale del Parlamento ha il potere di adottare decisioni di recupero di somme indebitamente versate nell'ambito delle misure di attuazione dello statuto dei deputati al Parlamento europeo e che la possibilità per il Parlamento di decidere il recupero di somme indebitamente versate a titolo di indennità di assistenza parlamentare non pregiudica l'indipendenza degli eurodeputati. Inoltre la Corte Ue ha deciso che Le Pen è stata validamente posta in grado di far valere il proprio punto di vista, di conseguenza il suo diritto di difesa non è stato violato. Agli eurodeputati, prosegue la motivazione della sentenza, spetta provare che gli importi percepiti sono stati utilizzati al fine di coprire le spese effettivamente sostenute e derivanti integralmente ed esclusivamente dall'impiego dei loro assistenti. Le Pen, invece, non avrebbe dimostrato né che l'attività svolta dal collaboratore intregrasse effettivamente una forma di assistenza parlamentare, né che l'opera prestata sia avvenuta nei locali del Parlamento, non bastando, a tal fine, la mera presenza, in ogni caso asserita ma non dimostrata.