Spari sui cattolici in protesta contro Kabila

Spari, lacrimogeni, cariche sulla folla: una giornata di sangue e violenze si è consumata nella Repubblica democratica del Congo, dove le autorità hanno usato la forza per stroncare la protesta contro il presidente Joseph Kabila, tuttora in carica nonostante il suo mandato sia già scaduto un anno fa. La repressione è stata rivolta verso i cattolici di Kinshasa, radunati nella cattedrale di Notre-Dame dove, all'arrivo del leader dell'opposizione, Felix Tshisekedi, i soldati hanno lanciato fumogeni, entrando nella chiesa e sgomberando i fedeli in preghiera. Anche il sacerdote, secondo quanto riportato da alcune agenzie, avrebbe invitato i cattolici a tornare a casa, poiché attorno alla cattedrale si trovava “un impressionante dispositivo militare e di polizia pronto a sparare”.

La repressione

Alcuni media hanno riportato dell'uccisione di due dimostranti e anche di un poliziotto, parlando di diverse persone rimaste ferite e di 12 chierichetti arrestati. Secondo la testimonianza di un fedele della locale chiesa di St Michael, riportata da 'France Presse', il sacerdote avrebbe proseguito nel dire messa con i parrocchiani rimasti, mentre i soccorritori si impegnavano ad assistere le persone più anziane cadute durante lo sgombero della chiesa. Il governo di Kabila, nel frattempo, ha vietato altri assembramenti con più di cinque persone nelle città congolesi: quella odierna ha riguardato oltre un centinaio di chiese cattoliche, alle quali si sono unite l'opposizione e anche la società civile. Una protesta alla quale il governo ha risposto bloccando la rete web e anche la possibilità di invio di sms, ufficialmente per “ragioni di sicurezza”.

La permanenza di Kabila

Polizia ed esercito hanno allestito presidi e posti di blocco davanti le parrocchie e in alcuni punti strategici, cercando di soffocare il vento di protesta contro la permanenza a oltranza di Joseph Kabila sulla poltrona presidenziale: il mandato dell'attuale presidente, infatti, è scaduto sul finire del 2016 ma il leader era rimasto al potere con la garanzia di un accordo (firmato sotto l'egida di vescovi) che prevedeva nuove elezioni entro la fine dell'anno corrente. Votazioni che non solo non sono arrivate ma che sono state posticipate addirittura a dicembre 2018: una decisione che ha scatenato la protesta dell'opposizione ma anche quella pacifica della comunità cattolica in molte città del Paese, come a Kananga, dove sarebbe stato registrato un altro morto.