Siria, la scacchiera dei potenti

A tre giorni dall'attacco contro i presunti depositi di armi chimiche del regime di Bashar Al Assad facciamo il punto sugli ultimi sviluppi della crisi siriana con Massimo Nava, giornalista, saggista e scrittore, editorialista da Parigi del Corriere della Sera

Partiamo dal botta e risposta Macron-Trump. L’unità di intenti del fronte anti Assad, a 72 ore dai raid, sta già scricchiolando?

“Tutto l'Occidente sembra avere le idee poco chiare. Lo dimostrano, fra le altre cose, le divisioni di approccio dell'Europa: da una parte la Merkel che dice: 'non partecipo', dall'altra l'Italia che concede le basi per motivi logistici ma poi afferma di non essere d'accordo con l'operazione. Ci sono poi le contraddizioni interne alla politica americana e alla stessa Casa Bianca. Un giorno Trump dice che si vuole ritirare dalla Siria, poi decide di attaccare, poi comunica che l'operazione si è conclusa, poi afferma che si va avanti… Quanto a Macron, le sue sono soprattutto dichiarazioni di principio, come ha fatto quando ha parlato di 'linea rossa' oltrepassata da Assad che giustificava un attacco condotto al di fuori di un quadro delle Nazioni Unite”. 

Perché Macron vorrebbe che gli Stati Uniti prolungassero il loro impegno in Siria?

“Considerata la confusione di linea, di strategia e di exit strategy la Francia non vuole rischiare di trovarsi col cerino in mano come in Libia. Anche perché si tratta del Paese più vicino al teatro delle operazioni ed è quello che rappresenta, più di ogni altro in questo momento, la difesa europea. Va poi detta un'altra cosa…”

Quale?

“Nessuno sa bene, a questo punto, chi sia il nemico. Tutti, Francia compresa, si sono affrettati a dire che l'operazione non mira a rovesciare Assad. Che poi è quello che vogliono i russi. Anzi, paradossalmente è più facile che sia Mosca, una volta stabilizzata la Siria e ridotto ai minimi termini il terrorismo islamico, a favorire un processo di pace e di ricambio indolore del regime”. 

Che idea ti sei fatto di un attacco condotto alla vigilia dell’arrivo degli ispettori dell’Opac, del quale erano stati informati sia Mosca che Damasco e che, tutto sommato, non ha prodotto grandi danni?

“I preavvertimenti al nemico dimostrano, da una parte, che nessuno voleva perdere la faccia (a partire da Trump che aveva giurato d'intervenire), e dall'altra a escludere possibili escalation del conflitto con la Russia. E questo la dice lunga sul senso di questi raid. Resta il fatto che questa azione mette una pietra tombale sulle residue possibilità di accertare la verità sull'effettivo uso di armi chimiche. Come già avvenuto in passato un massacro e una dubbia verità diventano il casus belli per giustificare operazioni militari…”

Si era già visto con Saddam Hussein…

“Esatto, ma anche con il massacro di Racak in Kosovo. La stessa Srebenica fu utilizzata, non tanto per innescare delle reazioni militari, ma per porre fine alla guerra. Non dimentichiamo che, dopo quella strage, ci furono gli Accordi di Dayton”. 

Hai detto che nessuno vuole un'escalation: quindi le preoccupazioni espresse da Guterres per un possibile salto di qualità del conflitto sono esagerate?

“Questo non possiamo dirlo. E' evidente che un'escalation non è nell'interesse di nessuno e tutti faranno qualunque cosa per evitarla. Detto ciò, in queste situazioni, l'incidente è sempre possibile. Se per errore venisse abbattuto un caccia americano o francese dai russi le conseguenze potrebbero essere serie”. 

Un Trump alle prese con il Russiagate può aver avuto un qualche interesse ad alzare i toni con Mosca prima dei raid?

“Non credo a una strategia così sofisticata. Penso, piuttosto, che di fronte al Russiagate ma anche altri scandali e polemiche che lo hanno coinvolto, come già avvenuto con la Corea del Nord, Trump avesse bisogno di qualcosa con cui rinsaldare l'opinione pubblica. Lo dimostra anche la comunicazione usata. La parola 'mostro' con cui ha definito Assad. Cose già viste in passato con Milosevic e Saddam, entrambi considerati novelli Hitler. Insomma, quando un dittatore ci fa comodo continuiamo a sostenerlo, negli altri casi si tira in ballo l'immagine del despota sanguinario per giustificare operazioni militari, come in Libia e in Iraq. La stessa cosa si può dire a proposito del giudizio americano sull'Iran. Paese che, tutto sommato, faticosamente cerca di aprirsi al mondo e d'intraprendere un percorso di riforme e viene continuamente criminalizzato dagli stessi che hanno un occhio di riguardo nei confronti dell'Arabia Saudita. Nazione dove i diritti umani vengono violati, che ha responsabilità nella destabilizzazione dell'area ma a cui gli Usa vendono armi per miliardi di dollari. Così Teheran diventa il diavolo e Riad un caro alleato. Credo ci sia poco da aggiungere…”

Dando per certa una vittoria di Assad sui ribelli, come sarà la Siria del futuro?Si profila uno stato federale, suddiviso per sfere d’influenza o si riuscirà a recuperare una dimensione unitaria mettendosi alle spalle le ferite della guerra civile?

Non è semplice fare una previsione. Innanzitutto bisogna vedere se Assad riuscirà davvero a vincere e fino a che punto. Il regime dovra, infatti, tener conto di eventuali sacche di resistenza, dei curdi e delle minoranze interne. Il tutto all'interno di un Paese completamente da ricostruire. Parliamo di un conflitto che in sette anni ha prodotto 4 milioni e mezzo di profughi e 700 mila vittime. Dovrà passare almeno una generazione perché la Siria possa ripartire. Ciò esclude che possa essere Assad l'uomo della rinascita.

Il quadro, insomma, è particolarmente complesso…

“Sì, anche perché sullo scacchiere siriano sta andando in scena una guerra per procura nella quale il nemico di ieri diventa l'alleato di oggi e quest'ultimo, a sua volta, si trasforma nel rivale di domani… Basta vedere le ambiguità della Turchia, che è nella Nato ma dialoga con Putin pur considerando Assad un nemico. Ci sono poi gli sciiti e l'Iran che sostengono il regime cercando una sponda con Mosca e i curdi, abbandonati a loro stessi. E qui bisognerebbe aprire una parentesi e chiedersi perché le 40 vittime del presunto attacco chimico su Duma suscitino l'indignazione del mondo, mentre il massacro sistematico dei curdi da parte degli alleati turchi ad Afrin lasci tutti indifferenti, nonostante gli stessi curdi siano stati sostenuti e armati per combattere le milizie jiahdiste. Siamo proprio nell'ambito della follia e del grottesco…”