Riscaldamento globale, ghiaccio tossico all’Artico

Come conseguenza del riscaldamento globale, i suoli perennemente ghiacciati dell'Artico si stanno scongelando e rilasciano sostanze altamente tossiche ed inquinanti, contenute nei fossili risalenti all'era del Pleistocene, riferisce l’Agi. Il ghiaccio più spesso dell’Artico cede ai colpi del riscaldamento climatico. Nei decenni scorsi l’Artico era quasi interamente composto da ghiacciai sempre gelati, che sopravvivevano al susseguirsi delle stagioni e al variare delle temperature nel corso dell’anno. Con il passare del tempo la temperatura della Terra si è via via alzata. Pochi gradi, ma sufficienti a far sciogliere i ghiacciai del Polo Artico e così adesso la quasi totalità del ghiaccio artico si riforma ogni anno. Tranne appunto questa grandissima area ghiacciata, che è riuscita a resistere. Almeno fino a ora. Il 2018 è stato devastante anche per quest’ultimo habitat storico dell’orso polare, secondo quanto riferito magazine online dal Ohga. Lo scioglimento dell'Artico, quindi, sta portando alla luce una “bomba di carbonio”. Sotto il permafrost si trovano antichi veleni di fossili risalenti al Pleistocene e milioni di tonnellate di inquinanti. Il disgelo potrebbe liberare anche virus sconosciuti. Il ghiaccio è più leggero e tende a spezzarsi sotto la forza dei venti che spirano dall’Atlantico al Pacifico.

Le conseguenze dello scongelamento

Il dossier, riportato dalla Bbc, riporta le conclusioni di una ricerca di Sue Natali, membro del Woods Hole Research Center nel Massachusetts, portata avanti dalla Siberia all'Alaska per studiare gli effetti gli effetti dello scongelamento del permagelo, il terreno tipico delle regioni dell'estremo Nord Europa, della Siberia e dell'America settentrionale. Sotto lo strato di ghiaccio che si sta scongelando affiorano i segreti avvelenati del passato, tra cui una quantità stimata di 15 milioni di tonnellate di carbonio, due volte di più rispetto a quello contenuto nell'atmosfera e tre volte rispetto a quello stoccato nelle foreste mondiali. A questa si aggiungono ingenti quantità di metano, antrace, mercurio tossico, scorie nucleari e altri antichi veleni. A preoccupare maggiormente la ricercatrice è proprio questo “ordigno di carbonio” contenuto nei terreni dell'Artico in corso di scongelamento: un 10% della quantità in essi contenuti rappresentano tra 130 e 150 miliardi di tonnellate di emissioni di anidride carbonica, pari a quelle che emettono ogni anno gli Stati Uniti da qui al 2100. Così lo scioglimento del permagelo dell'Artico introdurrebbe nella classifica mondiale un nuovo Stato, al secondo posto tra i Paesi maggiormente inquinanti. Un ingente quantitativo di carbonio che per giunta non è stato preso in considerazioni nel livello globale di emissioni da rispettare per contenere il riscaldamento globale sotto la soglia dei due gradi Celsius. I tempi sono stretti: per la Natali i suoli perennemente ghiacciati dell'Artico potrebbero sciogliersi dal 30 al 70% già prima del 2100, in base agli sforzi attuati o meno per arginare il riscaldamento globale. “Se continuiamo a bruciare combustibili fossili al ritmo attuale il 70% sarà la norma mentre se riduciamo le nostre emissioni si può puntare al 30%. Ad ogni modo nel quantitativo di suolo scongelato il carbonio rinchiuso nella materia organica comincerà ad essere rotto dai microbi che rilasceranno emissioni di CO2 o metano”, avverte la ricercatrice. Al di là delle emissioni inquinanti, le ricerche evidenziano che l'aumento delle temperature nel circolo Artico riporterà a galla anche ingenti quantità di microplastiche  – il doppio rispetto a quelle contenute in tutti gli oceani del mondo – oltre a 1,6 milioni di tonnellate di mercurio che entreranno nuovamente nella catena alimentare. Come conseguenza di temperature più miti sta anche aumentando la prevalenza di virus e patologie, che già colpiscono alcune specie animali, tra cui la renna, ammalandosi con maggiore frequenza rispetto al passato. Lo stesso vale per malattie letali per l'uomo: nel 2016 pastori nomadi di renne si sono misteriosamente ammalati, facendo temere il ritorno della “peste siberiana”, scomparsa dal 1941. La causa era l'antrace, come conseguenza dello scongelamento di una carcassa di renna rimasta vittima della malattia 75 anni prima.

Un nuovo oceano

Il rapporto “Getting it right in a new ocean”, lanciato  dal Programma Artico del Wwf, è il primo studio che sottolinea come le risorse e le economie dell’Oceano Artico possano essere sviluppate per garantire sul lungo periodo il benessere dell’economia e dell’ecosistema per questa regione e per il pianeta stesso. Il report segnala come gli approcci convenzionali allo sviluppo siano una minaccia per la possibile sopravvivenza di buona parte degli ecosistemi tipici della regione, indebolendo così  le comunità e le economie. Il report è stato pubblicato in occasione della Conferenza Sustainable Blue Economy (ospitata a Nairobi dai governi di Kenya, Canada e Giappone)  e spiega come, per effetto della fusione dei ghiacci dovuta al cambiamento climatico globale, si stia creando un “nuovo oceano” e come questo avrà  un  profondo impatto sulla biodiversità di questa regione e sulle comunità. Il pressante sviluppo economico che sta sfruttando questo trend – fino a mille miliardi di dollari nel corso degli ultimi 15 anni – potrebbe peggiorare molti degli impatti negativi nella regione almeno fintanto che non verranno prese chiare decisioni per tracciare una rotta sostenibile. Il report vuole essere una guida per governi e aziende per il raggiungimento di soluzioni sostenibili in questo momento cruciale per l’Artico. Simon Walmsley, del Programma Artico del Wwf, ha affermato: “Il cambiamento climatico sta rendendo l’Oceano Artico più accessibile che mai. Ma l’Artico rimane una regione remota, un posto rischioso per fare business. Applicando un approccio sostenibile, prima che si avviino  imponenti attività di business, possiamo aiutare a prevenire gli impatti più negativi per  questo ecosistema estremamente vulnerabile. L’Oceano Artico e le sue coste ospitano 34 specie di mammiferi marini, 633 specie di pesci ed è abitato da 4 milioni di persone tra cui popolazioni indigene e molte comunità che  vivono di pesca e dipendono dalla condizione delle risorse e dall’abbondanza degli stock ittici presenti nei loro mari. Fino ad oggi i più ampi settori economici che hanno avuto un impatto sugli  ecosistemi marini così vulnerabili sono stati l’attività estrattiva di petrolio e  gas, i servizi, la pesca e la trasformazione delle risorse, anche se mano a mano che il ghiaccio si ritirerà nella parte centrale dell’Oceano Artico, ci si aspetta che trasporti e turismo diventino i veri settori chiave.

Boom turistico

Per fare un esempio, in soli 10 anni, l’Islanda ha visto un aumento del flusso turistico del 400%. Il rapporto, inoltre, sottolinea l’importanza di fare in modo che qualsiasi sviluppo futuro sia in grado promuovere un ambiente artico in buono stato e con un’alta biodiversità a beneficio della regione. Le coste vulnerabili dell’Artico e la presenza di specie marine, come pesci, foche e balene, saranno sempre più in conflitto con le attività industriali – come il trasporto marittimo e l’esplorazione sismica dei fondali – e in mancanza di policy appropriate  potrebbero essere danneggiate da specie invasive, inquinamento sonoro sottomarino, sversamenti di petrolio. Un esempio di gestione basata sugli ecosistemi potrebbe essere la creazione di un network pan-artico che comprenda le aree marine protette capaci di favorire le specie animali nella loro risposta di adattamento e resilienza viste le condizioni di rapido cambiamento climatico. “Il cambiamento climatico avrà un impatto negativo anche sulla condizione degli stock ittici soprattutto per quelle specie che già sono in enorme difficoltà per via della pesca eccessiva, come  il merluzzo dell’Alaska. Altrettanto, le popolazioni indigene che  in molti casi vivono di pesca vedranno minacciata la loro sopravvivenza. In attesa che decisioni a livello intergovernativo e sovranazionale vengano prese, anche noi come consumatori possiamo adeguare i nostri comportamenti di acquisto in modo da influenzare il mercato in una direzione sostenibile. Un esempio tra gli altri: acquistare pesce di approvvigionamento sostenibile come ottimo modo per condizionare le scelte delle aziende e l’intero settore ittico.” Afferma Giulia Prato di Wwf Italia: “Tutti noi possiamo fare qualcosa come seguire semplici regole nell’acquisto del pesce anche tramite la guida online da noi realizzata ”.