O'Rourke, la caduta dell'ex nuovo Obama

Da prodigio a flop, nell'arco di poco più di un anno. Non è decisamente andata come ci si aspettava la parabola ascendente di Beto O'Rourke, passato dall'exploit delle elezioni per il Senato del 2018, con tanto di pesantissima etichetta di nuovo Obama, a un candidato democratico con grandi aspettative ma, a conti fatti, mai così calato appieno nella parte, nonostante una campagna elettorale iniziata nella sua El Paso e con tanti elementi (emergenza migrazioni in primis) che sembravano poter rappresentare punti di forza. In difficoltà già dai primi dibattiti, con indici di gradimento minimi e personalità non all'altezza delle aspettative che lo volevano come erede naturale dell'ex presidente, la deriva naturale della sua campagna è stata il ritiro. Forse troppo forti i rivali o fattori politici non a favore di un ex deputato “battitore libero” e non inquadrato in un preciso ambito amministrativo… Fatto sta che O'Rourke ha deciso di lasciar perdere, annunciando la sua decisione venerdì scorso quando l'orizzonte delle primarie non è ancora entrato in fase di volata.

Grandi speranze

In realtà, l'entusiasmo suscitato nel 2018 (quando comunque perse, seppure di poco, contro il rivale Ted Cruz) pur avendo avuto vita breve era riuscito a creare, in un limitato lasso di tempo, enormi aspettative sulla futura carriera di un deputato che, per questioni ambientali e di formazione politica, sembrava poter rispondere in pieno alla figura necessaria a un Partito democratico a corto di leadership. Nato in Texas, in quella El Paso terra di frontiera e fulcro dell'immigrazione al di qua del Rio Grande, un assaggio di quella che sarebbe potuta essere (idealmente) una possibile sfida per la Casa Bianca c'era stato nel febbraio scorso (a un mese dalla candidatura ufficiale di O'Rourke) quando proprio a El Paso, nell'arco di un chilometro, un comizio suo e di Donald Trump accese il primo vero dibattito Gop-Dem sul tema della migrazione di frontiera. Una falsa pista? Forse no, considerando che Beto avrebbe provato, di lì a qualche giorno, a dare continuità alla sua ascesa politica cercando la strada delle primarie.

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La discesa

Il vero punto di non ritorno si è avuto con il primo dibattito fra i candidati di punta del Partito democratico. Miami il luogo scelto, forse troppo lontana dal suo Texas, tanto che O'Rourke va in difficoltà proprio sul tema teoricamente cardine della sua campagna, quello delle migrazioni, incappando in un faccia a faccia perso quasi per k.o. contro il ben più spigliato rivale Julian Castro. Un segnale che molti interpretarono come indice di una rischiosa deriva verso il flop, confermata anche dal secondo giro di confronti. Un andazzo chiaro allo stesso Beto che, di lì a poco, avrebbe deciso di chiudere con le ambizioni della presidenza, a fronte di una campagna “che non ha i mezzi per andare avanti con successo”. E con la sua frenata, viene meno, non senza rimpianti, anche il candidato che, più di altri, avrebbe potuto rappresentare l'alternativa realmente popolare alla politica presidenziale di Donald Trump: “Ho deciso di candidarmi alla presidenza perché credevo di poter aiutare a riunire un Paese diviso – ha detto O'Rourke – in una causa comune per affrontare la più grande serie di sfide che abbiamo mai affrontato. Sapevo anche che il più fondamentale di loro è la paura – la paura che Donald Trump vuole che proviamo l'uno per l'altro; la vera paura che troppi in questo paese vivono sotto; e la paura che a volte proviamo quando si tratta di fare la cosa giusta, specialmente quando va contro ciò che è politicamente conveniente o popolare”. Buone intenzioni che non sono bastate. La politica, purtroppo, ha confermato di essere un'altra cosa.