Nuova massiccia offensiva delle truppe governative per liberare Mosul

Le forze irachene hanno ripreso stamane l’offensiva contro i jihadisti del sedicente Stato islamico in diversi quartieri a sud-est di Mosul, dove gli scontri si erano fermati da circa un mese. “Le nostre truppe stanno avanzando. Hanno già conquistato mezzo chilometro in pochi minuti”, ha dichiarato un ufficiale della divisione di intervento rapido, un’unità di elite del ministero degli Interni, che finora ha riconquistato circa un quarto della città.

La battaglia di Mosul, che mobilita 100.000 fra soldati iracheni, combattenti curdi e membri delle milizie sciite per riconquistare la grande città del Nord caduta nelle mani dell’Isis nel giugno 2014, era iniziata il 17 ottobre. Ma nelle ultime settimane l’avanzata aveva rallentato, complici le difficoltà incontrate dalle truppe governative nel condurre una battaglia quartiere per quartiere, casa per casa, e il rischio di provocare vittime tra i civili.

Rinvigorito dallo stallo il Califfato nei giorni scorsi ne ha approfittato per commettere nuove atrocità. Human Rights Watch denuncia l’uccisione a sangue freddo di almeno 13 persone, compresi due ragazzini, dopo una rivolta contro i jihadisti scoppiata lo scorso ottobre all’epoca dell’avvio dell’offensiva delle forze irachene per la riconquista di Mosul. Le vittime sono state uccise nelle località di al-Hud e al-Lazzagah, a circa 50 km a sud di Mosul.

L’Isis aveva preso il controllo dei due villaggi nel giugno del 2014. Human Rights Watch afferma di aver parlato con sette abitanti delle due località che hanno riferito di come la mattina del 17 ottobre scorso un gruppo di circa 30 abitanti di al-Lazzagah e 15 di al-Hud abbia attaccato i jihadisti per cacciarli dalla zona e ucciso 19 combattenti dell’Is.

“Il daesh ha risposto alla rivolta uccidendo le persone catturate durante la ribellione e civili che non avevano nulla a che fare con quanto accaduto”, ha detto Lama Fakih, vice direttore di Human Rights Watch per il Medio Oriente, denunciando brutalità che equivalgono a “crimini di guerra“.

Hrw cita tra gli altri il caso di “Sulaiman“, 44 anni, che ha partecipato alla rivolta e che è stato catturato dai jihadisti insieme a suo nipote di 14 anni, che non era coinvolto nella ribellione. Entrambi sono stati uccisi dall’Isis, afferma “Hassan“, un testimone citato dall’organizzazione.