Nuova Delhi:
“Nulla meglio dell'impiccagione”

Per il governo indiano l'impiccagione resta il miglior metodo per l'esecuzione di una condanna a morte. Lo riporta il quotidiano The Hindu riferendo la risposta data da un magistrato della Procura indiana alla Corte Suprema che sollecitava a fare il possibile per assicurare una morte degna ai condannati.

La Corte

Al riguardo l'Additional Solicitor General, Pinky Anand, ha sostenuto che le iniezioni letali non sono un sistema praticabile e spesso falliscono. La Corte ha indicato che non intende rimettere in questione la pena di morte, ma ha chiesto al governo di valutare il “progresso dinamico” realizzato dalla scienza moderna al fine di adottare metodi meno dolorosi per provocare la morte. Dopo aver chiesto ed ottenuto più tempo per studiare il tema, Anand ha comunque ribadito che “oggi non esiste altro metodo praticabile che possa sostituire l'impiccagione”.

Esecuzioni in calo

L'esecuzione di condanne a morte è divenuto un evento raro in India negli ultimi anni, dove quasi tutte le pene capitali sono commutate in ergastolo. Dal 1991, comunque, 26 persone sono state impiccate, l'ultima delle quali, Yakub Memon, nel 2015. L'impiccagione come metodo di esecuzione della condanna a morte è utilizzato in 58 Paesi, fra cui India, Bangladesh, Iran, Iraq, Giappone, Malaysia, Pakistan, Corea del Sud e Sri Lanka.

Hindi all'Onu 

Nelle ultime ore il governo conservatore guidato da Modi ha presentato un'altra proposta destinata a far discutere: l'ingresso dell'hindi fra le lingue ufficiali dell'Onu. La questione è studiata dai governi indiani dal 2003, ma con la gestione di Modi, riporta The Hindu, “essa ha ricevuto un nuovo slancio” e la ricerca di solidarietà di altri Paesi, come Mauritius e Figi, dove pure questa lingua è diffusa. Intervenendo giorni fa in Parlamento, il ministro degli Esteri, Sushma Swaraj, ha ricordato che per l'adozione dell'hindi come lingua ufficiale all'Onu c'è bisogno dei 2/3 dei voti dell'Assemblea generale. “Questo in sé non sarebbe un problema – ha sottolineato – ma la difficoltà risiede nel fatto che i costi di una nuova lingua debbono essere pagati dai Paesi membri e questo potrebbe scoraggiare molti governi dal votare a favore”. L'idea, che gode dell'appoggio del governo di centro-destra indiano, ha suscitato però anche critiche. Shashi Tharoor, presidente della Commissione parlamentare per gli Affari Esteri, si è chiesto “quali svantaggi abbia avuto fino ad oggi l'India nel non avere l'hindi come lingua ufficiale”. “A me sembra – ha concluso – che la mossa serva ad ottenere risultati politici (per affermare il concetto di induizzazione dell'India), piuttosto che diplomatici. Se un giorno qualcuno del Tamil Nadu o del West Bengala, dove esistono altre lingue, diventa primo ministro, perché dovremmo imporgli di parlare in hindi?“.