Niger: “La tratta non si ferma con le armi”

Niger, il Paese della sabbia, dove si brucia per il caldo che raggiunge i 40° di giorno mentre di notte tutto si raffredda all'improvviso. Il paese che è al penultimo posto nella classifica dello sviluppo umano ma al terzo per le spese militari dopo Nigeria e Ghana. La “cerniera” tra Africa sub-sahariana e nord Africa ora è sotto i riflettori dei mass media europei da quando Gentiloni ha predisposto l'invio di 470 soldati italiani, autorizzato la settimana scorsa dal nostro Parlamento per fermare il traffico di esseri umani e il terrorismo islamico.

Da una parte continuano infatti gli attacchi del gruppo armato nigeriano denominato Boko Haram nella regione del Diffa, zona sud orientale del Niger, al confine con la Nigeria dove – nello Stato del Borno – opera questo gruppo terroristico sunnita noto dal 2014 quando rapì studentesse universitarie nigeriane. Dall'altra continua ad alimentarsi il traffico di esseri umani da Agadez, sede di smistamento dei migranti di Nigeria, Mali, Ghana che fuggono dalle persecuzioni e dalla vita di indigenza, cercando di raggiungere l'Europa lungo la rotta libica, attraverso il Deserto del Sahara, un tempo crocevia di carovane, ma per il viaggio sono arretiti da mediatori senza scrupoli.

C'è un altro volto del Niger che, pur restando senza finanziamenti a fasi alterne, rimane con lo stile della pace al fianco delle popolazioni locali e tra i migranti cercando di costruire sviluppo e di sostenere il riscatto dei cittadini di questa parte dell'Africa martoriata da anni di neocolonialismo, a caccia di oro e uranio e più a sud, di petrolio e diamanti. Sono i tanti religiosi e religiose presenti tra Niger, Nigeria, Benin, Costa d'avorio, Mali e Ghana che hanno a cuore lo sviluppo dei popoli e stanno bene in guardia dalla corruzione imperante nei vari settori della politica e delle istituzioni. Tra questi c'è Padre Mauro Armanino, antropologo di formazione e missionario della Società missioni afrricane, dall’aprile del 2011 vive a Niamey, capitale del Niger, e ha raccolto ciò che vede dal suo osservatorio nel libro La città sommersa. Il mondo altro dei migranti del mare.

Padre Armanino cosa pensano i nigerini degli “aiuti” militari italiani? E quanto sono coinvolti a suo avviso nel traffico di esseri umani che ha uno snodo significativo ad Agadez?

“C’è la storia raccontata dai media e quella reale. Il tutto inserito in un piano che ormai va avanti da anni: esternalizzare le frontiere europee in modo da filtrare i migranti. In questa parte del mondo le migrazioni sono sempre state parte del paesaggio, fonte di ricchezza, di scambio e conoscenza. Ora la migrazione verso il nord Africa è diventata un reato, malgrado l’articolo 13 della Dichiarazione sui diritti umani alla mobilità e alla libertà di circolazione in Africa occidentale. Si tratta di un piano politico per controllare le migrazioni e fermarle ad ogni costo. La gente di queste terre non è contenta dei vari interventi militari stranieri. Si parla sempre di traffico di esseri umani. Ma ci sono viaggiatori che, vista l’impossibilità a viaggiare liberamente e con dignità, sono obbligati a passare da mediatori (passeurs). Il tutto è complesso e lo stesso mondo umanitario non è esente da complicità in questa ‘narrazione’ della storia”.

Pensa dunque che l'addestramento delle polizie di frontiere da parte dei militari italiani non sia un'azione efficace a tutela delle vittime di tratta? Anche nel caso della guardia costiera libica l’Alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani ha definito “disumana” la collaborazione tra Unione europea e Libia, per la corruzione elevata e l'uso della violenza da parte dei militari.

“La presenza militare, del tutto superflua o meglio negativa non ha altro scopo che dare un posto all’Italia per le prossime geopolitiche del Sahel, per le risorse e la spartizione del bottino umanitario che si prepara dopo l’incontro di Parigi (23 miliardi di euro previsti come investimenti nella zona…), oltre ai fondi fiduciari, ai progetti di sviluppo e al commercio delle armi”.

In un'intervista lei ha affermato che “Chi ha fame non si ferma con gli eserciti ma con lo sviluppo”. Quali esperienze positive ritiene debbano essere maggiormente sostenute tra la popolazione? Qual è l'impegno della vostra missione in quella terra d'Africa?

“Una cosa che nessuno fa è mettersi in ascolto del silenzio dei contadini e dei poveri. Spesso le organizzazioni che vengono qui con progetti finanziati non hanno tempo da perdere: hanno tabelle e obiettivi da rispettare, le persone sono numeri da rendicontare e quindi sono pochi i progetti seri. Specie quelli finalizzati all'autosostentamento… Ci sono tanti uomini e donne, per esempio nelle parrocchie dove siamo presenti, che con niente fanno miracoli perché è la gente che impara a darsi da fare e sembra volerti dire: 'Se sei venuto per aiutarmi, stattene a casa ma se la tua liberazione è legata alla mia allora vieni e camminiamo insieme'. Questo dovrebbe essere il nostro atteggiamento ma purtroppo non è sempre diffuso”.

È vero che le nuove generazioni, quasi dipendenti da WhatsApp e Facebook ormai in molte parti dell'Africa – a imitazione dell'occidente – rischiano un atteggiamento rassegnatario e sognano un'Europa irreale conosciuta sui social? qual è l'altro “volto di speranza” in Niger per voi che di migranti nel Sahel ne incontrate tanti?

“Non vedo gente rassegnata ma gente che fa del suo meglio per non essere inghiottita dalla polvere e dalla sabbia. Gente che cerca di sopravvivere con niente e che riesce a decidere di non lasciarsi cancellare dalla storia. I contadini, i ragazzi delle nostre scuole, gli insegnanti precari, i piccoli commercianti. E i migranti sono degli spacciatori di futuro e di umanità otre le frontiere di questa civiltà dello scarto, come ben ricorda Papa Francesco e come don Oreste Benzi aveva ben capito quando diceva 'I migranti sono ponti gettati su mondi. Siamo popoli destinati a convivere e prima lo capiamo meglio sarà per tutti'”.