Niger: “Cristiani nel mirino del jihad”

Ancora un missionario rapito, sembrerebbe, da un commando di presunti jihadisti. Si tratta di padre Pierluigi Maccalli, sacerdote della Società delle Missioni Africane originario di Madignano, nella provincia di Cremona. Padre Gigi, come lo chiama chi lo conosce bene, dopo un’esperienza in Costa d’Avorio, è attivo da qualche anno come missionario in Niger nella parrocchia di Bomoanga, da cui è stato rapito. Il gruppo di terroristi, sopraggiunto in moto, ha fatto irruzione nell’abitazione del religioso, lo ha trascinato di forza portando via anche il computer ed il cellulare. Il Niger è il Paese subsahariano con la più alta percentuale di islamici ma riconosce la libertà religiosa. Nel 2015, però, la pubblicazione delle vignette blasfeme di Charlie Hebdo aveva scatenato un’escalation di violenze contro i cristiani ed i loro luoghi di culto: la Chiesa cattolica era stata costretta a sospendere le sue attività dopo aver subito il saccheggio e la devastazione di ben dodici edifici sui quattordici presenti. Negli ultimi anni i confini del Niger con il Mali ed il Burkina Faso sono diventati sempre più pericolosi per la crescita dell’influenza del fondamentalismo islamico. Padre Maccalli potrebbe essere finito nelle mani di uno di questi gruppi jihadisti. Per chi conosce il sacerdote cremonese e ne ammira l’impegno costante per l’evangelizzazione e la promozione sociale sono ore di sofferenza e di angoscia, passate nella preghiera e nella speranza. Nonostante il momento doloroso, padre Antonio Porcellato, vicario generale della Società delle Missioni Africane, ha accettato di parlare ad In Terris.

Cosa si sa di quanto è accaduto a padre Maccalli?
“La sorella mi ha raccontato che era al telefono con lui pochi istanti prima che lo rapissero. Verso le 11 locali, uomini in sella a delle moto sono arrivati nella sede della missione sparando ed hanno preso padre Gigi. Un altro missionario indiano, presente nell’edificio in quel momento, è riuscito a nascondersi e non l’hanno preso. Altre notizie non ce ne sono. Forse sono andati verso il confine con il Burkina Faso che non è tracciato e dove c’è boscaglia. Quello con il Mali, invece, è più lontano, si trova a 100 km più a nord. Probabilmente però sono bande che provengono proprio dal Mali, ma le mie sono solo ipotesi. I rapitori si sono impossessati del cellulare e del computer che padre Maccalli stava utilizzando nel momento dell’irruzione per parlare con la sorella e chiedere al nipote un consiglio sul software. Ma – per quanto ne so io – non hanno preso soldi né hanno dato fuoco a nulla”.

Era tornato da poco dall’Italia. Aveva espresso timori durante questa sua permanenza?
“Lo avevo visto ad agosto. Timori particolari non ne aveva, anzi, si riteneva abbastanza sicuro lì nel villaggio. Tuttavia era consapevole che in quella zona negli ultimi mesi si erano registrate più tensioni del solito a causa delle apparizioni di alcune bande nei villaggi. La situazione a Bomoanga non è del tutto tranquilla, infatti i confratelli non viaggiano di notte e prendono più di una precauzione nel muoversi”.

Com’è la situazione in Niger? Negli ultimi anni sono frequenti gli attacchi di jihadisti che provengono dal confine con il Mali.
“In Niger ci sono tanti problemi che si sono accumulati ai confini e al livello interno. Uno è il problema del Sahel, divenuto un luogo di nessuno, pieno di bande che fanno commercio di armi, droga ed essere umani. Poi la Libia ormai destabilizzata con tanti gruppi che si combattono e che cercano risorse per finanziarsi, anche facendo ricorso ai rapimenti. A questo si aggiunge una certa instabilità del governo attuale in Niger che incontra uno scarso appoggio popolare. Questa miscela viene fatta esplodere poi dalle spinte jihadiste. Nel caso del rapimento di padre Maccalli, però, non sappiamo ancora se gli autori siano jihadisti; potrebbero essere anche malfattori comuni che vogliono un riscatto”.

Alcuni media, nel riportare la notizia, hanno ipotizzato che il suo impegno contro l’infibulazione potrebbe essere un movente del rapimento. Lei cosa ne pensa?
“Quella contro la mutilazione genitale non è l’attività principale di padre Maccalli in Niger. Non credo sia all’origine del rapimento. Un movente più credibile potrebbe essere il fastidio che arreca la presenza cristiana nella zona. Il lavoro dei missionari, infatti, crea più possibilità per la popolazione, incidendo in modo favorevole sulle vite di tante persone. L’offerta educativa e la promozione sociale in cui sono impegnati i nostri missionari vengono ricondotte aprioristicamente all’Occidente dai jihadisti che quindi ne hanno una percezione negativa”.

Quest’episodio cambierà l’attività nella Sma in Niger?
“Non la cambierà perché, purtroppo, non siamo abituati ad episodi del genere. Tre anni fa, ad esempio, sono state bruciate sette chiese in Niger. Quell’assalto è stato terribile per tutti i cattolici lì presenti. Certo, da oggi in poi bisognerà essere più attenti. La decina di missionari che vi operano – tra cui un altro italiano – dovranno prestare una maggiore attenzione visto che un anno fa, sempre nella stessa area, è stata rapita anche una suora colombiana di cui ancora non si conoscono le sorti”.

Padre Maccalli è da 11 anni in Niger dopo un lungo periodo in Costa d’Avorio. La sua vocazione sembra esprimersi in un motto che ama particolarmente utilizzare: “Andare là dove finisce l’asfalto”.
“E in effetti Bomoanga è uno dei luoghi più 'lontani' che abbia visitato in Africa. Padre Maccalli ha fatto davvero tanto per la popolazione locale. I suoi sforzi maggiori si sono concentrati nel lavoro di promozione umana all’interno di uno dei Paesi con meno risorse del mondo e con un livello di sviluppo tra i più bassi. Padre Maccalli, insieme agli altri confratelli, ha animato scuole in cui si insegna sia il francese che la lingua locale ed ha promosso corsi per i giovani contro lo sfruttamento selvaggio del legno, a sostegno dell’agricoltura. Nel novembre scorso, grazie all’appoggio di alcuni medici dell’ospedale Bambin Gesù, è riuscito a far operare a Roma una bambina del villaggio che aveva una grave malformazione cardiaca. Mentre nel gennaio del 2017 è riuscito ad inaugurare a Bomoanga, 10 anni dopo il suo arrivo, una chiesa fatta con criteri estetici locali, veramente bella. L’inaugurazione della chiesa è stata l’occasione di una grande festa che ha coinvolto tutto il villaggio e che ha reso davvero felice padre Maccalli”.