Myanmar, Aung nega il massacro dei musulmani Rohingya: “Nessuna pulizia etnica”

In una intervista con la Bbc, Aung San Suu Kyi, leader de facto del Myanmar, smentisce che nel suo Paese a maggioranza buddhista sia un corso un genocidio della minoranza musulmana della popolazione Rohingya nello Stato di Rakhine. Questo, malgrado l’appello lanciato lo scorso dicembre da 11 premi Nobel contro l’ex vittima della giunta militare birmana (accusata di ignorare “la strage dei Rohingya”) e nonostante un rapporto delle Nazioni Unite secondo cui i Rohingya sono una delle minoranze più perseguitate al mondo.

Il popolo Rakhine

Nell’intervista Aung sostiene che ci sono problemi nel Rakhine – Stato birmano situato sulla costa ovest affacciato sulla Baia del Bengala – ma che non si può parlare di “pulizia etnica”. Lo Stato è abitato in maggioranza dal popolo Rakhine – una etnia diversa da quella dominante birmana, i Bamar – i quali affermano di essere fra i più ferventi seguaci del Buddha nel Sud-est asiatico.

Divisioni non meglio specificate

San Suu Kyi, nota attivista per i diritti umani e premio Nobel per la pace, nonché attuale ministra degli Esteri della Birmania (solo perchè non poteva essere eletta Presidente) ha detto al giornalista britannico Fergal Keane che non è vero che ci sia stata una pulizia etnica nei confronti della minoranza etnica rohingya, rivendicando invece il lavoro del suo governo pur riconoscendo i molti limiti del Myanmar: “Pulizia etnica – ha spiegato – è un’espressione troppo forte” spiegando che le difficoltà nello stato di Rakhine hanno a che fare con divisioni non meglio specificate nella popolazione che nulla hanno a che fate con la religione.

Chi sono i Rohingya

Eppure i Rohingya, gruppo etnico indoeuropeo di religione islamica che conta in Birmania circa 800mila individui su oltre 51 milioni di abitanti, sono da tempo vessati nel paese a maggioranza buddhista Theravada, tanto che negli ultimi mesi la minoranza è stata violentemente presa di mira dall’esercito birmano e costretta in gran parte ad abbandonare il Paese e cercare rifugio nel vicino Bangladesh, a maggioranza musulmana, che però inizia a mal sopportare le migliaia di persone ammassate in campi di fortuna all’interno dei propri confini.