May in crisi: chieste le dimissioni

I ministri del governo britannico starebbero premendo su Theresa May per indurla a dimettersi. Per il Telegraph, che riporta la notizia, è solo una questione di “quando, non di se“. 

In crisi

La leader dei conservatori potrebbe essere costretta a lasciare se non lo farà di sua spontanea volontà prima delle prossime elezioni. Oggi la premier cercherà di recuperare il feeling con il partito, chiudendo il congresso Tory a Birmingham, dopo aver subito ieri l'ennesimo attacco di un arrembante e implacabile Boris Johnson.
“Il nostro futuro è nelle nostre mani” sarà il tema del discorso della May, ma per diversi ministri il futuro della premier alla guida del governo dovrebbe avere breve scadenza, immediatamente dopo la Brexit, fissata per marzo 2019. Altri però sarebbero disposti a lasciarla alla guida del Paese fino al 2020 se al prossimo congresso dei Tory annuncerà la data di addio. Sul banco degli imputati ci sono la sua leadership e la capacità di guidare il partito, giudicate insufficienti in vista delle elezioni del 2022

La questione irlandese

Le difficoltà sulla Brexit vengono confermate anche dalle parole del leader del Partito unionista democratico nordirlandese, Arlen Foster, che ha messo in guardia May contro qualsiasi compromesso con Bruxelles che possa portare a un irrigidimento dei controlli al confine tra la provincia nord-irlandese e il resto del Regno Unito. “Non possiamo avere né una frontiera doganale lungo il Mare d'Irlanda né una frontiera normativa, perché ciò ci renderebbe separati dal resto del Regno Unito”, ha sottolineato Foster, in un'intervista a Bloomberg. “Così non funziona né da una prospettiva costituzionale né economica”. Gli unionisti fanno parte della coalizione di governo e con la loro partecipazione consentono alla May di avere una ristretta maggioranza in Parlamento. L'Ue ha proposto che all'Irlanda del Nord venga permesso di restare nel mercato comune per la circolazione di beni in modo da tenere il confine aperto con l'Irlanda ed evitare così un “hard-border” vietato dagli Accordi del Venerdì Santo che nel 1998 misero fine a violenze decennali; una posizione irricevibile per Londra, secondo la quale così si violerebbe l'integrita' del Regno Unito.