Manafort alla sbarra, il pm: “Bugiardo seriale”

Una requisitoria durissima quella che aperto il processo contro Paul Manafort, ex capo della campagna elettorale di Donald Trump alla sbarra ad Alexandria (Virginia) per frode bancaria e fiscale che riguarda, in particolare, i 60 milioni (mai denunciati all'erario) incassati per le sue attività di lobby a favore dei filorussi ucraini. 

L'accusa

Dalla pubblica accusa Manafort viene definito come un uomo che amava il lusso sfrenato, menzognero seriale. “L'uomo che siede in questo tribunale credeva di essere al di sopra della legge”, ha sibilato il procuratore Uzo Asonye. “Quest'uomo riteneva che nessuna legge lo riguardasse, né quella bancaria, né quella fiscale. Ottenne quasi 60 milioni di dollari per il suo lavoro in un Paese europeo chiamato Ucraina, ma li depositò in conti off shore e li nascose in buona parte al fisco americano”.  

Il processo

Il processo a Paul Manafort cominciato ad Alexandria, un sobborgo di Washington a mezz'ora di metro dalla Casa Bianca, è il primo che nasce dall'esplosiva inchiesta del procuratore speciale Robert Mueller sul Russiagate, le presunte interferenze del Cremlino nella campagna presidenziale del novembre 2016; ma le accuse di cui deve rispondere Manafort non hanno nulla a che vedere con il suo incarico di responsabile della campagna elettorale di Trump, tra il giugno e l'agosto del 2016. Il legame con Trump è però evidente: Mueller cerca prove dell'interferenza di Mosca nelle elezioni americane e che gli uomini del presidente fossero collusi: tre ex-consiglieri del presidente si sono già dichiarati colpevoli. Solo uno no, ed è Manafort. La squadra investigativa di Mueller ha descritto Manafort, seduto sul banco degli imputati con un elegante abito scuro e cravatta grigia, come un “astuto” bugiardo che nascose abilmente alle autorità i suoi guadagni, tra il 2006 e il 2017, i proventi frutto delle consulenze a governi stranieri, in particolare quello dell'ex presidente filorusso Viktor Yanukovich (2010-2014), del quale curava l'immagine.

Lusso sfrenato

Così si regalava auto di lusso, “abiti alla moda” (sequestrati dall'Fbi quando lo arrestarono per un valore di un milione e mezzo) e altri lussi come un orologio da 21 mila dollari, una giacca da 15 mila, proprietà per un valore di sei milioni di dollari pagate in contanti a Manhattan, Brooklyn e Virginia. E non basta. Per illustrare gli eccessi di Manafort, l'atto d'accusa di 37 pagine, firmato personalmente da Mueller, fa un registro meticoloso dei suoi acquisti e delle sue spese: quasi un milione di dollari per tappeti antichi, 623.910 dollari per oggetti d'antiquariato, 820.000 dollari per i giardinieri, quasi 123 dollari per il sistema di home entertainment. “Si prendeva quel che voleva. Senza alcun rispetto delle leggi fiscali o di quelle bancarie, Paul Manafort mentiva al suo commercialista, al fisco, a tutte le istituzioni finanziarie, sempre con un obiettivo: accumulare denaro“. Secondo l'accusa Manafort creò una rete destinata a nascondere i suoi proventi in aziende fantasma e in 30 diversi conti bancari aperti in tre Paesi diversi, tra cui Cipro e Regno Unito. “Tutti i reati di questo processo possono riassumersi in una frase: Manafort mentiva”.

Difesa

La difesa ha cercato di dare un quadro molto diverso di Manafort, che ha descritto come un “consulente politico di talento“, divenuto il “motore” delle campagne politiche di diversi presidenti repubblicani, Ronald Reagan (1981-1989) e George HW Bush (1989-1993). “Questo processo riguarda le tasse e anche la fiducia: Manafort ripose la sua fiducia nella persona sbagliata”, ha detto l'avvocato Thomas Zehnle riferendosi a Rick Gates, che per anni è stato il braccio destro di Manafort ma lo ha tradito dichiarandosi colpevole e cercando il patteggiamento nelle indagini sul Russiagate.