L'Iraq non conosce pace

Missione compiuta, la guerra è finita”, annunciò a inizio maggio di 16 anni fa l’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush dalla portaerei Lincoln. Sarà finita la guerra, ma di certo non è mai tornata veramente la pace in Iraq se è vero che oggi è stata un’altra domenica di sangue nell’antica Babilonia, la civiltà della Mesopotamia fiorita sulle rive del fiume Eufrate.

Sangue e morte

Un'autobomba è esplosa nell'area occidentale di Mosul, nel nord del Paese, uccidendo 5 persone e ferendo altre otto. Inoltre tre cittadini francesi sono stati condannati a morte da un tribunale iracheno perché accusati di aver fatto parte del sedicente Stato islamico. L'Iraq è tra i cinque Paesi al mondo che più uccidono persone in esecuzioni capitali, secondo un rapporto di Amnesty International diffuso ad aprile. Il numero delle condanne a morte pronunciate dai suoi tribunali è più quadruplicato tra 2017 e 2018, arrivando ad almeno 271. Cinquantadue sono state eseguite nel 2018, sempre secondo Amnesty, mentre erano state 125 l'anno precedente.

Incubo jihad

Gli analisti hanno anche avvertito del fatto che le carceri irachene in passato hanno funzionato come “scuole” per i futuri jihadisti, tra cui per il leader dell'Isis, Abu Bakr al-Baghdadi. Nei giorni scorsi l'ambasciata americana in Iraq ha messo in guardia contro “accresciute tensioni” sul territorio, sconsigliando ai cittadini statunitensi di recarsi nel Paese. L'avviso, pubblicato con un messaggio su Twitter, è giunto  nel mezzo di crescenti tensioni in Medio Oriente e segue una visita a sorpresa del Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, a Baghdad.  E il Dipartimento di Stato Usa ha ordinato al personale non essenziale dell'ambasciata americana a Baghdad e del consolato a Erbil di lasciare l'Iraq. I normali servizi per i visti saranno temporaneamente sospesi e il governo americano ha limitato la capacità di fornire servizi di emergenza ai cittadini Usa in Iraq.

Missioni sospese

La Germania ha sospeso la missione di addestramento dei militari iracheni a causa dell'escalation delle tensioni nella regione: la decisione è stata presa in accordo con i partner della coalizione militare contro lo Stato islamico. Sono 160 i militari tedeschi in missione in Iraq. E, dopo la Germania, anche l'Olanda ha deciso di sospendere la sua missione in Iraq per ragioni di sicurezza. Una delle principali compagnie petrolifere statunitensi, la ExxonMobil, ha evacuato decine dei suoi impiegati non iracheni da uno dei maggiori stabilimenti petroliferi del sud dell'Iraq. Nelle stesse ore un razzo Katyusha è caduto nella Zona Verde di Baghdad che ospita edifici del governo e ambasciate straniere.

Tensioni

Ad inasprire ulteriormente il clima il governo iracheno ha preso la decisione di acquistare i sistemi missilistici russi di difesa antiaerea S-400. L’ambasciatore dell'Iraq in Russia Haidar Mansour Hadi lo ha confermato all’agenzia di stampa statale Tass, dopo che a Baghdad si è svolto un incontro della Commissione intergovernativa russo-irachena per la cooperazione economico-commerciale, scientifica e tecnica. “L'Iraq si aspetta che il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov si rechi a Baghdad prima della fine dell'anno”, ha dichiarato l'ambasciatore iracheno in Russia, ricordando che Lavrov ha ricevuto l'invito a visitare Baghdad dal ministro degli Esteri iracheno Mohamed Ali Alhakim. “Ora stiamo coordinando la data della visita attraverso i canali diplomatici- ha aggiunto-. Ci aspettiamo che la visita si svolga quest'anno”.

Diplomazia

Nel frattempo, però, l'Oman riaprirà la sua ambasciata in Iraq, a decenni di distanza dalla chiusura della sede diplomatica. Il sultanato sul lato orientale della penisola arabica ha affermato che questo “può contribuire allo sviluppo delle relazioni tra i due Paesi”. L'Oman aveva chiuso la sua ambasciata in Iraq dopo che il dittatore Saddam Hussein invase il Kuwait nel 1990. E sulle nuove tensioni tra Stati Uniti e Iran il premier iracheno, Adel Abdel Mahdi assicura: “Non permetteremo che l'Iraq diventi una zona di guerra o una piattaforma di lancio per una guerra contro un altro Stato”. Un anno fa Papa Francesco ascoltò la domanda del vescovo caldeo di Betzabda, Basel Yaldo (“Santo Padre quando è che viene in Iraq a vedere le sofferenze di noi cristiani?”) e si commosse per i racconti dell’emigrazione forzata, della persecuzione dell'Isis nelle zone attorno a Mosul, dalla diaspora, dalle difficoltà economiche. Il  Pontefice rispose che se fosse per lui la visita apostolica in Iraq la farebbe subito: “Ci stiamo pensando ma le condizioni attualmente non lo permettono”.