Libia, ecco a cosa mira la Francia

L'intensificarsi degli scontri a colpi di razzi e mortai tra la 7ma Brigata di Tarhuna e diverse bande armate di Tripoli riapre drammaticamente una nuova stagione di sangue per la Libia, un Paese instabile dal 2011, incapace di riuscire a trovare uno spiraglio di pace in un rompicapo geopolitico fatto di lotte fratricide tra predoni e “capi popolo” locali, interessi petroliferi delle “Città-Stato”, violazioni di diritti civili, ma anche di forti pressioni internazionali che da ormai più di sette anni pesano sui destini di un Paese ridotto ad un cumulo di macerie.

Lo scalo della discordia

Il controllo dell’aeroporto internazionale di Tripoli sarebbe stato il “casus belli” che ha fatto precipitare la situazione nel giro di poche ore. Dopo il ritorno della sede del governo a Tripoli, il primo ministro Fayez Al Serraj, nel 2016, assegnò diversi lavori di ricognizione e controllo nello scalo alla 7ma Brigata di Tarhuna, promettendo, inoltre, la costruzione di un nuovo aeroporto commerciale proprio in questa città, situata ad 80 km a sud-ovest della capitale, storica roccaforte dei Gheddafi. Le milizie della Tripolitana, dunque, sono insorte per riappropriarsi del controllo della capitale. Al momento gli scontri fanno registrare almeno una cinquantina di morti e più di un centinaio di feriti: i colpi dei mortai hanno addirittura colpito un campo profughi, gettando benzina sul fuoco in una situazione che sembra farsi di ora in ora sempre più incandescente. In un contesto dove si fa fatica anche a tumulare i cadaveri, le armi e le risorse belliche sembrano non mancare mai.

Sotto pressione

Il persistere degli scontri pone inevitabilmente l’Italia in una posizione di forte difficoltà: una Libia fortemente destabilizzata ed ancora “terra di nessuno” potrebbe trasformare definitivamente il Mediterraneo in una anticamera infernale per l’Europa intera ed in particolar modo per Roma, in un certo senso “costretta” per ragioni storico-culturali a doversi fare carico dei destini di quella che fu una sua ex-colonia o, in ogni caso, a guardarla con un occhio di riguardo anche solo in relazione alle ultime vicende. Il riferimento alla crisi dei migranti rappresenta soltanto uno dei tanti risvolti implicati in questo affare che, se preso sottogamba, potrebbe definitivamente minare la già assottigliata sfera di influenza italiana all’interno dell’area mediterranea. A fronte dei nuovi scontri, diversi media italiani avevano paventato la possibilità di un intervento armato da parte di Roma, tramite l’invio delle nostre forze speciali in sostegno alle milizie di Al Serraj. La risposta prevedibile del governo e del mondo politico italiano non si è lasciata attendere: l’Italia non interverrà militarmente in Libia, così come ribadito dal ministro degli Interni, Matteo Salvini, e dal premier Giuseppe Conte. Inoltre, il ministro degli Esteri, Moavero Milanesi ha espresso piena fiducia nel lavoro delle Nazioni Unite e della missione Unsmil ribadendo la necessità alla cooperazione tra Roma e l’Onu, che tra l’altro ha convocato d’urgenza un vertice nella giornata di ieri per fare il punto sulla situazione. Intanto, nonostante il crollo di un palazzo in prossimità dell’ambasciata italiana, la Farnesina tiene ancora aperta la sede diplomatica, seppur con il personale ridotto al minimo.

Le mire francesi

Alla luce di quanto accaduto, le esitazioni da parte italiana sono giustificate dai dubbi scaturiti dall’effettiva fiducia riposta nella figura di Al-Serraj, sempre più fallace nel riuscire ad ottenere un potere effettivamente legittimo dalle diverse città. Inoltre, Roma è ancora memore delle proteste avvenute nei mesi scorsi al solo paventarsi di una probabile missione “boots on the ground” delle forze italiane con tanto di tricolori bruciati per le strade, con l’ambasciatore Giuseppe Perrone dichiarato “persona non gradita” dal governo di Tobruk guidato dal generale Khalifa Haftar, dopo che questi aveva espresso una certa riluttanza nei confronti degli esiti del vertice di Parigi. Non a caso, i sospetti sui giochi di potere che stanno destabilizzando la Libia cadono sempre sulla Francia di Macron, desiderosa di spodestare l’Italia dal controllo sulla regione. La nuova stagione di scontri sarebbe stata causata, secondo alcuni analisti, proprio dal maldestro comportamento francese e dal vertice di Parigi dei mesi scorsi organizzato da Macron stesso per stabilire una data valida per le nuove elezioni libiche, individuata per il 10 dicembre. Le varie milizie locali escluse dal discorso francese stanno, in queste ore, sfogando il proprio desiderio di riscatto spezzando il flebile equilibrio che si era venuto a creare negli scorsi mesi tra il governo ufficiale di Al Serraj e quello di Tobruk.

Troppe incertezze

L’intento francese risulta essere abbastanza chiaro all’opinione pubblica italiana. Continua a stupire, però, una certa riluttanza da parte degli apparati di Roma nel volersi impegnare direttamente per ristabilire una sfera di influenza decisiva per le sorti geopolitiche del Paese, frutto di un passato contrassegnato da un approccio piuttosto irenista nelle questioni internazionali. Nonostante l’Italia abbia sempre cercato la giusta via delle soluzioni pacifiche, il rischio di trasformare la sponda meridionale del Mediterraneo in un crocevia di attività illegali è altissimo e potrebbe essere pagato a carissimo prezzo. Il non riuscire ad inserirsi con preponderanza nel discorso libico pone dei seri dubbi sull’effettivo posizionamento del nostro Paese nella sfera internazionale, a maggior ragione considerando la già dimostrata inconsistenza delle istituzioni europee sul tema migranti. Le belle parole spese da Trump e Conte nell’ultimo incontro di Washington in merito alla cabina di regia italo-americana per la Libia rischiano, come spesso già accaduto, di trasformarsi in un nulla di fatto. Se l’Italia decidesse di agire per salvaguardare le proprie priorità ed il proprio interesse nazionale nel suo “cortile di casa” dovrebbe cominciare dal partecipare attivamente alla stabilizzazione della Libia vagliando diverse soluzioni comunque più valide di qualsiasi immobilismo: dall’invio delle forze speciali, all’attività dei nostri servizi di intelligence passando, se necessario, anche tramite  l’invio di personale “embedded” da affiancare alle milizie di Serraj.