La strada verso la sostenibilità

Secondo un antico detto degli indiani d’America, noi “Non abbiamo ereditato questo mondo dai nostri genitori, l'abbiamo preso in prestito dai nostri figli”. Un giorno, infatti, dovremo restituirlo alle nuove generazioni. E saremo anche responsabili dello stato in cui si troverà allora la Terra. Si tratta di una filosofia non tanto lontana dallo spirito che ha guidato la realizzazione dell’Agenda 2030, il documento “firmato dai 193 Paesi membri delle Nazioni Unite nel settembre del 2015”, che affronta e schematizza le questioni che il pianeta dovrà affrontare per rendersi sostenibile, spiega ai nostri microfoni Elis Viettone, dell'Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (AsviS), l’associazione nata nel 2016 che mette insieme la stragrande maggioranza degli attori che si occupano di questi temi.

L'Agenda 2030

I Paesi firmatari sono chiamati a contribuire, con politiche nazionali e internazionali, a uno sforzo comune per portare il mondo su un sentiero di crescita e sviluppo che sia però sostenibile. Ciò vuol dire che ogni Paese deve impegnarsi per definire una propria strategia e per inserire obiettivi di sostenibilità nelle proprie politiche economiche. A riguardo, l'Agenda 2030 fissa 17 obbiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable development goals – Sdg in inglese). Spiega Viettone: “Questi sono l'aggiornamento dei pre-esistenti otto Millenium development gaoals”, che dovevano essere raggiunti entro il 2015. Quegli obbiettivi, che andavano dallo sradicamento della povertà estrema alla sconfitta del virus dell'HIV, se anche sono stati raggiunti solo in piccola parte, comunque “hanno cominciato un percorso comune”. Che adesso continua nei 17 Sdg, “coinvolgendo tutti gli aspetti della vita quotidiana”, in tutti i paesi del mondo. Come sottolinea la portavoce dell'AsviS “Si tratta di obbiettivi onnicomprensivi, molto ambiziosi” che vanno dall'abbattimento della povertà (goal 1), della fame (goal 2) e delle diseguaglianze sia tra Paesi, sia all’interno di ogni Paese (goal 10), e di genere (goal 5); all’estendere a tutti il diritto all’istruzione (goal 4), alla salute (goal 3), a un lavoro dignitoso (goal 8); alla lotta ai cambiamenti climatici (goal 13) e alla tutela degli oceani (goal 14). Ogni obbiettivo si divide a sua volta in diversi traguardi specifici, per un totale di 169 target.

La strada

Malgrado l’impostazione ambiziosa, “il contesto istituzionale non è favorevole all'attuazione dell'Agenda 2030”, è l'amara considerazione che Massimo Pallottino, uno dei portavoce della Coalizione italiana contro la povertà (Gcap), ha reso nel corso dell'audizione del 23 luglio presso la commissione Esteri della Camera dove è stato presentato il report “Diritto al cibo. Lo sviluppo sostenibile a partire dai sistemi alimentari”. Dal canto suo, Andrea Stocchiero, responsabile della Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario (FOCSIV), denuncia che “821 milioni di persone al mondo ancora soffrono la fame”. Lo stesso numero dell'ultima rilevazione. Il rapporto presentato dalla FOCSIV ricorda che l’1% della popolazione mondiale che guadagna di più (circa 61 milioni di persone) percepisce lo stesso reddito dei 3,5 miliardi di persone più povere, che rappresentano il 56% della popolazione mondiale. Le politiche che hanno incoraggiato la privatizzazione, la flessibilità del lavoro e un ruolo minore per lo Stato hanno contribuito all’aumento delle disuguaglianze fin dagli anni Ottanta. Anche se ci sono stati dei progressi negli ultimi anni, questi sono molto lenti. A questa velocità, secondo le stime presentate dalla FOCSIV, ci vorranno 800 anni perché il 20% più povero della popolazione mondiale arrivi a guadagnare solo il 10% del reddito globale. Il rapporto presentato dall'associazione cattolica è centrato sul diritto all'alimentazione, che viene inserito in un approccio integrato. Infatti, “il diritto al cibo significa diritto alla vita, tutela dei diritti economici, sociali e ambientali”, ricorda Stocchiero. Il soggetto centrale dell’analisi di quest'anno è rappresentato dai piccoli agricoltori del Sud del mondo. Purtroppo, il modello di produzione agricola centrato sulle piccole coltivazioni a carattere familiare “si sta sgretolando e non solo a causa dei cambiamenti climatici, ma anche per trattati commerciali internazionali ingiusti”, che danneggiano i produttori più vulnerabili. Forse c'è qualche spiraglio, sottolinea il portavoce Stocchiero: “L'avvio di nuovi negoziati presso le Nazioni Unite può essere un’occasione per mettere al centro dei trattati commerciali i diritti, senza escludere gli ultimi e i più deboli”. Anche la finanza deve porsi al servizio dei diritti dei cittadini, “l'economia reale e i bisogni delle persone. In questo senso è fondamentale un rafforzamento della tassa sulle transazioni finanziarie”.