La parabola di Mugabe, l'eroe divenuto tiranno

Only God will be remove me”. Mugabe lo disse nel 2008, al ventunesimo anno di presidenza. Perché, come diceva, “solo Dio che lo ha nominato” avrebbe potuto destituirlo, né gli oppositori politici e nemmeno gli inglesi. E' successo nel 2017 quando, ormai 93enne, è stato preso in consegna dall'esercito dello Zimbabwe indipendente, un Paese che aveva conosciuto quasi solo lui come guida politica. Ancora meglio, lo ha conosciuto come tiranno, proprio lui, l'ex eroe della Rhodesia meridionale, colui che sconfisse “l'uomo bianco” Ian Smith e che si mise al fianco del presidente Canaan Banana alla guida di un Paese nuovo, sotto le insegne di Zanu e Zapu convogliate nel Patriotic Front sul finire della guerra civile. Ma quello che nacque come il rinnovato Zimbabwe era solo sulla carta un Paese nuovo e colui che gli ex abitanti della Rhodesia meridionale salutarono nel 1980 come il liberatore dal giogo dell'”apartheid sociale”, avrebbe dimostrato in seguito di essere solo in apparenza l'eroe dell'indipendenza.

Dall'idolatria al disastro

Robert Mugabe, ai tempi del Zanu militante, aveva forse il fascino del leader rivoluzionario ma, come accaduto spesso nella storia, non le giuste capacità per guidare una nazione che pure, all'epoca del suo insediamento alla presidenza al posto di Banana, era una delle più ricche di risorse minerarie dell'intera Africa. Forse non un sanguinario come Idi Amin o Menghistu (che pure ospitò nel suo Paese durante l'esilio) ma nemmeno un leader carismatico come Jomo Kenyatta o Nelson Mandela, che proprio negli anni della sua ascesa conduceva la lotta per l'indiepndenza del Sudafrica, la trentennale presidenza di Mugabe ebbe il punto di svolta in negativo agli inizi del Duemila, quando la sua riforma agraria (già avviata nel '79 sotto la presidenza Banana) estromise gli ex coloni bianchi rimasti nello Zimbabwe (gran parte erano già emigrati dopo il 1980, perlopiù in Sudafrica) operando una politica di redistribuzione che schiacciò definitivamente la già povera fascia contadina della popolazione, quasi del tutto esclusa dall'assegnazione delle terre fertili. Una scelta che, di lì a qualche anno, avrebbe quasi completamente azzerato il valore della moneta locale (come ebbe a dire in un'intervista al Washington Post del luglio 2007, qualora i soldi non si fossero trovati sarebbero stati stampati). Al picco all'ingiù dell'economia nazionale (che risente ancora del crack agrario con vertiginosi tassi di disoccupazione), fece però da contraltare una sostanziale riforma in tema d'istruzione, che rivoluzionò il sistema scolastico portando l'analfabetismo al 10%, l'indice più basso di tutta l'Africa.

La caduta

Trent'anni di controversie quelli della sua presidenza, dal colpo di mano che spazzò via la figura del primo ministro spalancandogli le porte di Harare, fino alla riforma costituzionale che gli garantì candidature continue, ben oltre il limite precedentemente consentito. Non gli riuscì la mossa referendaria per garantirsi pieni poteri ma sconfisse a più riprese il candidato forte di Mdc, Morgan Tsvangirai, che non si sarebbe mai stancato di denunciare le presunte irregolarità di quelle votazioni, soprattutto nel 2008. Cinque anni dopo, sarebbero stati perfino Stati Uniti e Unione europea ad avanzare il sospetto di possibili brogli elettorali. Negli ultimi anni, ormai ultranovantenne e più anziano Capo di Stato in carica, Mugabe spinse per mettere al suo posto la giovane moglie Grace, arrivando a esautorare il suo vice, Emmerson Mnangagwa. Una decisione che, a strettissimo giro, sarebbe costato il definitivo colpo di Stato e la caduta dell'ultimo “re”.