John Dillinger, un caso ancora aperto?

Ufficialmente John Dillinger è morto il 22 luglio 1934, ucciso nel corso di un blitz dell'Fbi guidato dall'agente Melvin “Little Mel” Purvis, che per la cattura del gangster entrò nella leggenda. Una versione che ha ispirato libri e film, compreso quello di Michael Mann, Public Enemies, col volto di Dillinger affidato all'attore Johnny Depp. A distanza di 85 anni, però, la storia sembra non aver ancora detto tutto a proposito del famigerato criminale il cui corpo, secondo quanto disposto dal Dipartimento della Salute dello Stato dell'Indiana, verrà riesumato. Non è chiaro perché, né su quali basi, fatto sta che la piccola lapide di Crown Hill, a Indianapolis, che chiude la tomba dell'ex nemico pubblico americano, verrà sollevata, forse per capire se davvero lì sotto vi sia sepolto John Dillinger, come tutti credevano da quasi novant'anni. Al momento, l'unica informazione certa è che la richiesta di riesumazione è stata presentata da Michael Thompson, nipote di Dillinger. Per il resto, il tutto orbita per ora nel mistero, perso tra le nebbie della Grande Depressione americana, durante la quale il gangster agì e vide crescere la sua popolarità di bandito astuto ma non brutale, paradossale simbolo di un'America che viveva il periodo più buio della sua giovane storia.

Le ipotesi

Il sospetto principale, perlomeno stando alle voci circolate fin qui, è che a Crown Hill sia stato sepolto qualcun'altro al posto di John Dillinger, la cui tomba è stata peraltro cementificata in modo estremamente pesante da suo padre, per timore di un'eventuale profanazione. O, più semplicemente, che l'ex public enemies non sia stato ucciso dall'Fbi, perlomeno non quel 22 luglio del '34 nel corso della famigerata operazione all'esterno del cinema di Chicago dove il gangster aveva appena assistito a Manhattan Melodrama. Una possibilità che per la storia della Depressione americana cambierebbe molto, considerando la fama che Dillinger accumulò dando alle fiamme i registri contabili delle banche (quelli dove erano annotati i debiti dei contribuenti) al termine delle sue rapine, rendendo di fatto la figura di un gangster anni '30, con soprabito di lusso, aspetto curato e Thompson alla mano, alla stregua di un antieroe popolare, un po' come Jesse James per gli ex confederati una cinquantina di anni prima. Una fama sufficiente a J. Edgar Hoover per rivoluzionare il Boi (Bureau of Investigation) e farlo diventare Fbi, oltre che a mettere Dillinger in cima alla lista dei nemici pubblici da eliminare, ancor di più quando  scelse di allearsi alla ben più feroce gang di “Baby Face” Nelson.

Un'eco lontana

L'inizio della fine (forse ancor più della famigerata soffiata della “donna in rosso”) per il gangster che fu l'emblema della Grande Depressione, quella che iniziò con il crollo di Wall Street e finì per esplodere con violenza fra le baracche di Hooverville. Quando Dillinger fu ucciso era appena iniziata la presidenza di Franklin D. Roosevelt e, per inciso, il varo del New Deal. Come a dire che la sua morte metteva fine all'epoca in cui un criminale poteva rappresentare l'icona di un mondo in decadimento, ponendo l'occhio su quella realtà di disagio sociale dove lo Stato, in quel momento, non riusciva ad arrivare. Un'epopea che potrebbe riaprirsi, assieme alla sua tomba: entro il 16 settembre (giorno entro il quale la lapide verrà posta nuovamente al suo posto) si saprà se la storia sia andata diversamente da quanto si è creduto per 85 anni.