Israele, l'impasse della sfida fra destre

Altro giro, altra corsa in Israele, dove i cittadini si preparano per la terza tornata elettorale in meno di un anno e ad appena tre mesi dall'ultima. Nessuna delle precedenti, tuttavia, è riuscita nell'intento di dare al Paese un governo in grado di guidarlo, tra le incertezze (politiche ed extra-politiche) legate al premier uscente Benyamin Netanyahu e gli incerti connotati politici del Blu-bianco di Binyamin Gantz che, come il rivale, a formare una maggioranza salva-stallo non c'è riuscito. Inevitabile, almeno per ora, restituire la parola alle urne, in un Paese forse mai così instabile sul piano politico interno, in cui la divergenza fra i due partiti in corsa si risolve in una gara fra schieramenti di destra-centrodestra alla ricerca di un punto di comune accordo che possa sciogliere le riserve sull'intesa di governo. Interris.it ha fatto il punto della situazione israeliana con il dottor Giuseppe Dentice, associate research fellow Medio Oriente e Nord Africa dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi).

 

Dott. Dentice, Israele sembra vivere una fase di stallo politico da cui pare difficile uscire attraverso il voto. Quali fattori stanno incidendo sugli schieramenti tanto da impedire la formazione di un governo?
“Bisogna dire che le questioni politiche israeliane sono strettamente collegate al contesto interno, a cui va data priorità rispetto al contesto internazionale, anche se quest’ultimo incide con alcune dinamiche. Innanzitutto, quello che riguarda Israele e la sua instabilità scoperta, è dovuta al fatto che da un lato vi è un elettorato – e quindi una società – diviso al suo interno, su linee di frattura abbastanza consolidate: un voto sempre più basato su un elettorato che guarda a un tipo di pensiero influenzato anche dalla religione, nonché da linee politiche che richiamano a una sorta di radicalismo vicino agli ambienti dei coloni. E questi due fattori hanno inciso profondamente nelle tornate elettorali dei mesi scorsi. A ciò aggiungiamo anche le difficoltà interne legate agli storici partiti come il Labour, che oggi ha scarsa rilevanza a livello nazionale, e la scelta di un nuovo partito, quello di Benny Gantz, che benché venga raffigurato come di centrosinistra è in realtà di centrodestra. Quindi, in realtà, è una gara interna alla destra-centrodestra, fra Gantz e il Likud guidato da Netanyahu che, tuttavia, soffre di problemi di varia natura, perlopiù extrapolitici. Questo è il contesto su cui poi fa leva la difficoltà anche di trovare una coalizione di governo perché, soprattutto nelle elezioni di settembre, l’ago della bilancia è risultato essere quel Libermann che è sicuramente un uomo di destra e che ha idee molto chiare su diversi temi, tra cui anche quello che riguarda Israele-Palestina ma anche l’elettorato laico, secolare, non prettamente religioso”.

In relazione al partito di Gantz, la poca chiarezza sull’effettivo schieramento politico sta creando qualche condizionamento sul piano interno?
“Se andiamo a guardare bene i contenuti, i programmi di Gantz e Netanyahu non sono poi così diversi ma leggermente sfumate e, soprattutto, tendenzialmente vicini su temi come l’economia, la politica interna ed estera. La differenza sta nello stile: Gantz è un ex militare e, vicino a lui, ve ne sono altri. Ha quindi posizioni ben chiare su atteggiamenti e profili politici da tenere anche in relazione alle altre cariche dello Stato. Netanyahu sta spostandosi quasi verso una linea populista, abbracciando posizioni trasversali che, in realtà, tendono a compattare il suo elettorato e a svuotare quello radicale di destra. In questo senso, cerca di radunare più elettori possibili per definire una sua maggioranza. La sfida quindi non è fra diversi orientamenti ma fra linee più o meno definite, all’interno delle quali si riscontrano atteggiamenti politici”.

Se la dicotomia è interna a un unico blocco, il rischio concreto è che le nuove elezioni abbiano lo stesso effetto delle precedenti…
“Più che una dicotomia in sé, la vera problematica risiede in ciò che vuole essere Israele e su quello che i candidati punteranno a dimostrare. Netanyahu sta inseguendo un certo tipo di destra vicina agli ambienti delle colonie ebraiche per un puro calcolo elettorale. Gantz cerca di proporsi come un qualcosa di diverso ma guarda a un elettorato di destra che punti a svuotare il Likud e quell’ala liberale che ancora vi fa riferimento. Questo è il vero nodo ma si tratta, allo stesso tempo, di tradurre quelle intenzioni politiche in un’azione di governo che, a oggi, rischia di rimanere sempre in fase di stallo: anche se si va al voto per la terza volta in meno di un anno,  è difficile ipotizzare un risultato molto difforme dai precedenti. Si tornerà a un pareggio tecnico”.

In caso che cosa accadrebbe? Verrebbe formato un governo provvisorio o si procederà con votazioni a oltranza?
“Anche tre elezioni in un anno sono una novità, perché non era mai successo in Israele. La ragionevolezza vuole che si trovi un accordo di governo ma, poi, questa si scontro con le volontà politiche dei leader. Possiamo solo azzardare un ragionamento: Gantz e il suo partito non sarebbero contrari a fare un governo con il Likud, tuttavia l’unica prerogativa che pongono è che all’interno non ci sia Netanyahu. Il quale continua però a ribadire la sua leadership. Quindi è più una questione politica, o meglio, di leadership politica più che di contenuti. Bisognerà vedere poi quale sarà l’atteggiamento del Presidente che, in questi mesi, è stato decisamente conciliante, provando in tutti i modi a far dialogare le parti nel tentativo di uscire dallo stallo. È difficile ipotizzare uno scenario più o meno plausibile. Il rischio è che si ritorni nuovamente alle elezioni ma credo che tre voti siano già abbastanza anche per l’elettorato. Sarà intenzione dell’intero corpo istituzionale israeliano di trovare un accordo più o meno plausibile”.

Esiste il rischio di un’esasperazione popolare che vada a complicare ulteriormente il quadro?
“I riflessi maggiori si avrebbero sull’economia, che è peraltro sana. Ma è chiaro che in un periodo di prolungata instabilità e debolezza politica, questa incida nel definire il contesto. È un po’ una novità per Israele questa estrema frammentarietà. Questo non significa che anche in passato non abbia conosciuto una mutevolezza nei governi ma una condizione come quella attuale di certo non è cosa da tutti i giorni”.