Isis, vicino lo scontro finale per Kobane

Si avvicina lo scontro finale per il controllo di Kobane, la terza città curda della Siria. Secondo quanto riferisce l’Osservatorio per i Diritti dell’Uomo, gli islamisti sono a meno di un chilometro dalla città che è ormai stretta a est e a sud dalle forze del califfato: “Il 90% degli abitanti ha lasciato Kobane”, anche tutti i villaggi attorno sono deserti e sotto il controllo dell’armata jiahidista. Nelle vie della cittadina si scorgono quasi soltanto i combattenti curdi, pronti ora a lottare “casa per casa, strada per strada”.

In questa tragica situazione, non sembrano aver sortito nessun effetto i raid della coalizione arabo-americana. Ancora oggi i nuovi attacchi aerei dell’alleanza hanno preso di mira gli avamposti dell’Isis, senza comunque riuscirne a fermare l’avanzata. Impressionante poi la sproporzione delle forze in campo. Sono centinaia i combattenti curdi impegnati contro migliaia di jihadisti che dispongono di carri armati, artiglieria pesante e lanciarazzi multipli da 220 mm. “I curdi – ha precisato nei giorni scorsi Abdel Rahmane, dell’Osservatorio – hanno kalashnikov, mitragliatrici pesanti di fabbricazione sovietica DShK e lanciarazzi Rpg”.

In Italia intanto oggi una cinquantina di manifestanti curdi-siriani hanno cercato di sfondare l’ingresso principale della Camera dei Deputati. I commessi hanno immediatamente bloccato le porte mentre le forze dell’ordine hanno respinto i manifestanti che sventolano bandiere inneggianti alla resistenza della città siriana di Kobane, assediata dall’Isis. I manifestanti sono stati allontanati senza incidenti ma nella calca iniziale un’aviere di picchetto è rimasta leggermente contusa. Un piccolo drappello di polizia in assetto antisommossa ha “limitato” il raggio d’azione dei manifestanti.

Qualora dovessero riuscire a conquistare Kobane, i jihadisti controllerebbero di fatto una fascia territoriale continua nel nord della Siria, lungo il confine turco. Il loro attacco ha causato finora la fuga di almeno 160.000 persone, che dalla metà di settembre hanno trovato rifugio in Turchia. E questa situazione potrebbe far saltare il processo di pace fra curdi e governo di Ankara, come ha fatto sapere Abdullah Ocalan, leader storico del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), in un messaggio consegnato a una delegazione che lo ha visitato nell’isola-prigione turca di Imrali in cui è recluso. Il monito è arrivato mentre il parlamento di Ankara è impegnato a esaminare il via libera a una partecipazione militare turca in Siria e Iraq contro l’Isis: organizzazione che l’ex premier e attuale presidente islamico-conservatore Recep Tayyip Erdogan è accusato di avere a lungo sostenuto, o almeno tollerato, come arma contro il regime di Damasco di Bashar al-Assad.

Ieri l’ennesimo dramma: 41 bambini sono morti in un doppio attentato kamikaze che ha colpito un quartiere della città siriana di Homs. Dalla Gran Bretagna il premier Cameron ha affermato con decisione che: “Queste persone sono malvagità pura”. Poi, riferendosi ai cittadini britannici arruolatisi nello Stato Islamico: “Siete nemici del Regno Unito e dovete aspettarvi di essere trattati come tali”.

Dal fronte iracheno arrivano notizie dall’agenzia Nina che riporta il bilancio di almeno 42 soldati uccisi oggi in un’offensiva dello Stato islamico nel distretto di Hit, 150 chilometri a ovest di Baghdad, aggiungendo che l’attacco dei jihadisti sarebbe stato tuttavia respinto grazie ai raid aerei della Coalizione internazionale guidata dagli Usa.