Iran, missili sulle basi Usa. E Khamenei promette: “Non è finita”

Va tutto bene”. E' un commento breve e sostanzialmente vago quello che Donald Trump lascia agli organi di stampa (rigorosamente via Twitter) a seguito dell'attacco simultaneo che l'Iran ha disposto contro le basi Usa in Iraq. Il presidente ha infatti escluso vittime americane, di fatto smentendo le dichiarazioni di Teheran che parlavano di almeno 80 morti fra i militari dell'esercito a stelle e strisce, alimentando i dubbi e frammentando ulteriormente le notizie relative alla rappresaglia iraniana. Se ne conosce alla perfezione il nome, “Soleimani martire”, esplicito richiamo al generale ucciso dagli Stati Uniti in un raid a Baghdad, la cui morte ha di fatto costituito il punto di svolta in negativo di un rapporto, quello fra Usa e Iran, già fortemente compromesso da mesi di voce grossa sul tema del nucleare e dei presunti atti di sabotaggio da parte di Teheran nello Stretto di Hormuz. E' anche noto che i siti presi di mira dai missili iraniani sono principalmente due, quello di Ayn al-Asad, il più duramente colpito, e quello di Erbil, in zona Kurdistan, dove erano di stanza anche alcuni militari italiani (rimasti illesi).

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Botta e risposta

La notte di bordate era in un certo senso attesa: poche ore prima la Guida suprema dell'Iran, Ali Khamenei, aveva lanciato un messaggio che era un po' un avviso ai naviganti, sia avversari che alleati, specificando che qualsiasi rappresaglia nei confronti degli americani sarebbe avvenuta per mano di Teheran. Un riferimento chiaro alle componenti sciite sul piede di guerra, Hezbollah in testa, di fatto sostenute dall'operato di Soleimani sia da un punto di vista organizzativo che sul fronte della lotta all'Isis. Ora, con Khamenei che preannuncia nuove azioni e i Pasdaran che parlano di una “feroce vendetta iniziata”, lasciando implicitamente trapelare che i missili sparati verso le basi americane in Iraq fossero solo il primo passo del dopo-Soleimani, la questione sembra passare nuovamente in mano agli Stati Uniti, sui quali grava ora l'incombenza di dover scegliere fra un ulteriore scatto nell'escalation di violenza o incassare il colpo facendo calmare per un po' le acque, a maggior ragione se, come affermato da Trump, i contingenti Usa colpiti non hanno subito perdite. Risale comunque alle ore immediatamente successive alla pioggia missilistica la notizia di una flotta di caccia statunitensi partita da una base negli Emirati arabi e avvistata in volo sui cieli della Siria. Segno, probabilmente, che almeno per ora uomini e mezzi dell'Us Army resteranno in zona, Iraq compreso, dove la decisione di espellere le truppe straniere continua a pesare nell'economia delle relazioni internazionali del Paese con quelli che, fino a pochi giorni fa, costituivano gli alleati della coalizione anti-Isis.

Rohuani: “Obiettivo, cacciare gli americani”

Nel frattempo, da Teheran continuano ad arrivare commenti istituzionali alla raffica di testate partita durante la notte. Ed è il presidente Hassan Rohuani a parlare per primo di obiettivi da raggiungere, nello specifico “la cacciata di tutte le forze Usa dalla regione“, come “risposta finale all'uccisione del generale Soleimani”, di cui rivendica le azioni compiute nell'interesse della stabilità mediorientale: “Il generale Soleimani ha combattuto eroicamente contro l'Isis, al Nusra, Al Qaeda e altri. Se non fosse stato per la sua guerra al terrorismo, le capitali europee sarebbero ora in grande pericolo”.