Il tricolore di nuovo bruciato in Libia

Torna a farsi sentire il sentimento anti-italiano in Libia e si rivedono i tricolori bruciati. Sembra di tornare ai primi tempi del regime di Gheddafi, con il “Colonnello” impegnato a consolidare il suo potere facendo leva sui rancori lasciati in eredità dall'epoca coloniale. 

La partita

Stavolta, riferisce il Giornale, a manifestare sono le tribù vicine al generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica contrapposto a Fayez al-Serraj, leader di Tripoli e capo dell'unico governo riconosciuto dalla comunità internazionale. Francia a parte. Il cavallo su cui Emmanuel Macron ha, infatti, deciso di puntare per ritagliarsi un ruolo chiave nella partita libica è proprio Haftar. Il quale, da parte sua, non avrebbe gradito il fatto che Roma, sinora, si sia mossa solo con Serraj per affrontare il complesso fenomeno migratorio, rinnovando l'accordo con Tripoli per la gestione dell'emergenza. Ad avvelenare ulteriormente il clima ci sono anche le voci di un possibile dispiegamento di un contingente italiano. Il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, nei giorni scorsi ha infatti chiesto al consigliere per la Sicurezza Usa, John R, Bolton, di aiutare Roma ad assumere “un ruolo di leadership” per portare la pace in Libia. In ballo ci sono anche interessi petroliferi, con Eni (un tempo leader dell'estrazione sulla costa libica) minacciata dalla francese Total. Si cerca soprattutto di recuperare il terreno perduto nei confronti di Parigi, che in piena crisi politica italiana – negli 80 giorni di trattative per la formazione del nuovo governo – ha organizzato in casa una conferenza sulla Libia, con l'obiettivo di diventare il principale interlocutore internazionale per la gestione della crisi.

Rapporti difficili

Trenta ora vuole incontrare Haftar. Già, perché in un contesto balcanizzato come quello libico bisogna trattare con tutti. Per l'ex generale gheddafiano “il pretesto della lotta all'immigrazione clandestina non può condurre a un intervento militare straniero nel sud del Paese africano”. L'ambasciatore Giuseppe Perrone ha però bollato come “fake news” le voci su una possibile base militare italiana nel sud della Libia. Il Viminale, ha spiegato, “sta lavorando al programma dell'Unione europea per rafforzare la sovranità libica e la capacità della Guardia di frontiera libica contro i trafficanti di essere umani“. Parole che però non sono sufficienti a far cessare le ostilità (al momento solo verbali) nei confronti dell'Italia. E fra le tribù in rivolta non manca chi si dice pronto a una “jihad” contro il vecchio nemico.