Il ritorno dei talebani: riconquistato il 43% del territorio

talebani stanno, mano a mano, riprendendo il controllo dell’Afghanistan, nonostante la presenza dei militari di “Resolute Support“. Dal novembre 2015 al novembre 2016 la percentuale di territorio strappato o conteso al governo di Kabul sarebbe passata dal 28 al 43 per cento – e la situazione è “molto critica” anche nel settore ovest del Paese, dove sono schierati i militari italiani. E’ quanto si legge nel Rapporto “Afghanistan, sedici anni dopo“, redatto dall’Osservatorio Milex, secondo cui i talebani hanno riconquistato vari distretti anche nelle quattro provincie occidentali e combattono per impossessarsi di altri.

“La risposta militare italiana a questa avanzata, ordinata dai comandi Nato – si legge nel rapporto, in cui si parla di una guerra costata finora 900 miliardi di dollari ai Paesi che la combattono, di cui 7 e mezzo all’Italia – è stato il ritorno in prima linea a tre anni dal ripiegamento alla base di Herat. Dall’inizio del 2017, piccoli contingenti di soldati italiani denominati “Expeditionary Advisory Package” sono tornati al fronte, non per combattere ma per supportare in loco (non più da remoto come avvenuto negli ultimi anni) le contro-offensive dell’Esercito afgano. A queste attività prendono parte anche forze speciali (i Rangers del 4/o Alpini a sostegno dei “Commandos” afgani) ed elicotteri da attacco (gli A-129 Mangusta dell’Esercito a protezione del personale italiano)”.

Gli italiani – scrive ancora Milex facendo il bilancio “della più lunga e costosa campagna militare della storia d’Italia” – costituiscono attualmente il secondo contingente della missione Resolute Support, dopo quello Usa: 1.037, su un totale di 13.576 (6.941 americani). Riguardo ai costi, e tenendo conto solo della “spesa ufficiale“, 16 anni di guerra in Afghanistan, si legge nel documento, “sono costati complessivamente a tutti i Paesi che vi hanno partecipato all’incirca 900 miliardi dollari. Per l’Italia, il costo ufficiale della partecipazione alle missioni militari in Afghanistan a partire dal novembre 2001 (Enduring Freedom fino al 2006, Isaf fino 2014, Resolute Support dal 2015) è di 6,3 miliardi di euro, vale a dire oltre un milione di euro al giorno in media”.

A questo costo netto vanno aggiunti esborsi aggiuntivi riguardanti varie voci che fanno lievitare la spesa “a oltre 7,5 miliardi, a fronte di 260 milioni investiti in iniziative di cooperazione civile”. Alto e “in aumento” il numero delle vittime civili del conflitto: circa 35.000. Un dato peraltro “molto sottostimato – osserva Milex – poiché riguarda solo le vittime ufficiali, ovvero registrate come tali dalle autorità afgane o alleate, quindi escludendo le morti non documentate per motivi burocratici (quelle avvenute nelle zone remote o isolate) o travisate per motivi politici (per cui si fanno figurare le vittime civili come vittime combattenti)”.

Il numero, poi, non tiene conto delle “vittime indirette, dovute alle precarie condizioni di vita legate al conflitto” stimate in 360 mila dai ricercatori americani della Brown University. Secondo la missione Onu Unama “il numero ufficiale delle vittime civili è in costante aumento, in particolare tra i bambini: negli ultimi sette anni (2009-2016) è triplicato il numero dei bambini rimasti uccisi e sestuplicato quello dei bambini feriti”.

Il rapporto Milex sottolinea, poi, che durante gli anni del confitto sono stati pochi i progressi fatti dalla popolazione: “a parte un lieve calo del tasso di analfabetismo (dal 68% del 2001 al 62% di oggi) e un modestissimo miglioramento della condizione femminile (limitato alle aree urbane maggiori)”, l’Afganistan “ha ancora oggi il tasso più elevato al mondo di mortalità infantile, tra le più basse aspettative di vita del pianeta ed è ancora uno dei Paesi più poveri del mondo”, mentre politicamente il governo “è tra i più inefficienti e corrotti al mondo (Transparency International colloca l’Afganistan al 169 posto su 176)”.

Il business della droga “dal 2001 è rifiorito” ed il fatto che i cittadini afgani non siano contenti dalla loro condizione lo dimostra il “crescente numero di quelli che cerca rifugio all’estero: tra i richiedenti asilo in Europa negli ultimi anni, gli afgani sono i più numerosi dopo i siriani“. “Se la soluzione militare di una sconfitta dei talebani appare poco ormai poco realistica, si fa sempre più strada negli ambienti diplomatici internazionali la convinzione che essi vadano considerati come imprescindibili interlocutori per la pacificazione del Paese”.