Il Parlamento neozelandese riapre con una preghiera dell’Imam

Il massacro di Christchurch ha paralizzato la vita neozelandese. Lo choc ha fermato anche la politica e il Parlamento neozelandese ha ripreso i lavori ieri con una iniziativa sorprendente. Le attività sono state precedute da una commovente preghiera recitata all’Imam Nizam ul haq Thanvi. Commovente anche se in arabo e da quelle parti non lo si parli, perché le emozioni si innescano anche solo con le vibrazioni della voce, le intonazioni, i più impercettibili gesti, perché il cuore sente e traduce senza bisogno di interpreti. Il rispettoso silenzio di chi era in aula è poi proseguito con invocazioni in inglese dispensate da Tahir Nawaz, presidente della International Muslim Association of New Zealand. Invece di dar luogo al solito (e altrettanto inutile) “question time”, maggioranza e opposizione hanno scelto di dimostrare così la loro coesione e la loro vicinanza alle vittime della strage e ai loro famigliari.

I toni – anziché impennarsi con i torrenziali vomiti di post e tweet dalle espressioni incandescenti – si sono affievoliti nel rispetto di chi ha pagato con la vita il gesto di un criminale dalla lucida follia. Abituati ad etichettare le violenze più efferate con matrici religiose o ideologiche, stavolta nessuno ha parlato di “terrorismo cristiano” come nessun altro dovrebbe identificare “islamico” quello di chi semina la morte ostentando una fede che certamente non ha. Integralismi e intolleranze sono il concime della mala pianta i cui frutti riempiono le pagine della cronaca e addolorano chi – nella rispettiva comunità – professa un credo senza dubbio estraneo a certi comportamenti. Religione e fede come alibi per chi colpisce, come scusa per fomentare gli animi sull’altro versante.

Quei cinquanta morti sono benzina gettata sul fuoco inestinguibile dell’odio, sono un tassello di un domino che è destinato a cadere sul successivo e proseguire in un indesiderato crollo di ogni pezzo sistemato in sequenza. La sparatoria di Utrecht di ieri è solo un minuscolo sussulto e le forze di polizia temono il verificarsi di altri episodi di estrema efferatezza: le dinamiche emulative hanno una propagazione incontrollabile ed imprevedibile e quindi c’è da aspettarsi di tutto e ovunque. Gli imbecilli sono uguali in tutto il mondo, a prescindere dalla loro etnia o ideologia, e la loro competizione coinvolge sempre gente innocente. Il verificarsi di episodi tanto dolorosi è spesso seguito dalla partecipazione emotiva di un pubblico che – grazie ai social o maledetti loro – esprime commozione o incredibilmente gioisce per la malefatta incitandone la reiterazione.

Internet è l’habitat della “propaganda”, spesso fine a se stessa. sovente volta a raccattare consensi non importa da chi e non importa con quali conseguenze. Se la macchina della persuasione – più o meno urlata – non la si può fermare (in nome della libertà di espressione ci sarebbe sempre qualcuno pronto a lamentare una presunta censura), se i leader politici sono convinti di mietere successi seminando rancore e acrimonia (incuranti della devastazione sociale cui danno forma), se i cattivi esempi sono i più facili a seguirsi, se la prevaricazione è fraintesa e immaginata come far valere i propri diritti, probabilmente è necessario trovare il tasto “reset” sul telecomando del vivere quotidiano e reimpostare il nostro domani. Probabilmente si dovrebbe “vaccinare” la popolazione e soprattutto quella che si muove in Rete nella più incosciente inconsapevolezza. L’educazione è il miglior siero, la cultura il più efficace antidoto: il disastro, forse, lo si può ancora evitare.

Tahir Nawaz alla vista degli omaggi floreali lasciati dinanzi alle moschee prese a bersaglio ha detto “ciascun fiore con la propria storia è un singolo messaggio che viene dal più profondo del cuore. Questi messaggi ci toccano da vicino perche arrivano dalla vera gente della Nuova Zelanda”. Altrove la reazione sarebbe arrivata con una diretta Facebook o un video su Instagram la cui violenza verbale avrebbe soddisfatto solo chi si abbevera di livore. Ma l’ostilità, anche la più feroce, non disseta nessuno e – anzi – fa crescere a dismisura un desiderio di risentimento e acredine…