Il Myanmar respinge le accuse di genocidio

Il governo del Myanmar ha rispedito al mittente le accuse di genocidio contenute in un rapporto dell'Onu sul caso della minoranza musulmana dei Rohingya, stanziata nello Stato settentrionale del Rakhine e perseguitata dalle forze armate birmane. I risultati dell'indagine delle Nazioni Unite hanno spinto gli Usa e altri Paesi a chiedere che la giustizia accerti le responsabilità dei vertici militari birmani. 

La replica

Il portavoce del governo, Zaw Htay, ha ricordato che il Myanmar “non ha concesso alla missione Onu di entrare nel Paese, ed è per questo che non concordiamo e accettiamo qualsiasi risoluzione fatta dal Consiglio per i Diritti Umani”. Il Paese asiatico ha istituito la propria commissione d'inchiesta indipendente che risponderà alle “false accuse fatte dalle agenzie Onu e altre comunità internazionali”, ha aggiunto, assicurando che le autorità birmane hanno un atteggiamento di “tolleranza zero verso le violazioni di diritti umani” e che il governo prenderà “iniziative legali contro qualsiasi” abuso. 

Il dossier

Il rapporto Onu, presentato lunedì, ha riferito di prove evidenti di genocidio e crimini contro l'umanità perpetrati su larga scala contro la minoranza, vittima tra l'altro di stupri, violenze sessuali e omicidi di massa. Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace, leader di fatto del Paese, non ha mai pronunciato parole di condanna per le violenze contro i Rohingya, attirandosi le critiche internazionali. Per lei, la repressione militare è stata una risposta proporzionata ai ribelli della minoranza islamica dopo i loro attacchi a commissariati di polizia. Secondo i gruppi per i diritti umani, però, l'offensiva contro i Rohingya era già stata pianificata.