Ecco i motivi dietro l’assassinio di Nemtsov

Dalle prime ore dall’uccisione del leader dell’opposizione russa, Boris Nemtsov, si sono rincorse ipotesi sui motivi dell’assassinio. Di sicuro lui si sentiva minacciato: recentemente aveva rivelato in un’intervista che sua madre temeva per la sua vita; Olga Varkhina, assistente della vittima, all’agenzia di stampa Itar Tass ha riferito che Nemtsov aveva ricevuto degli “avvertimenti” sui social network per diversi mesi e che era stata avvertita anche la polizia. D’altra parte la sua forza nell’opporsi a Putin da molti è stata vista come una sfida aperta al potere, anche occulto, che governa Mosca. Non solo, ma lo scorso anno, prima dei Giochi olimpici invernali di Sochi, aveva accusato il presidente russo di corruzione.

Secondo alcuni suoi collaboratori, Nemtsov stava lavorando su un dossier che riguardava la presenza militare russa in Ucraina. Nella società civile internazionale sono in molti a pensare a una responsabilità diretta o indiretta del Cremlino; ma non ci sono prove.

Il leader russo – va detto – era stato anche minacciato dopo la sua condanna per l’attentato a Parigi contro la redazione di Charlie Hebdo. Una pista, quella dell’estremismo islamico, che non viene affatto sottovalutata.

Poi ce ne è un’altra, ancora più complessa, da spy-story: la polizia sta valutando se una delle parti del conflitto in Ucraina non abbia voluto uccidere Nemtsov per mettere in difficoltà il Cremlino. In un momento difficile come quello attuale, la morte di un avversario di Putin lo potrebbe far apparire, anche senza esplicitare il concetto, come mandante di un delitto. Il che non gioverebbe a rafforzare la sua posizione a livello internazionale. “Al momento l’inchiesta sta seguendo varie piste – ha chiarito un portavoce degli inquirenti -: prima di tutto si ipotizza che l’omicidio possa essere una provocazione volta a destabilizzare la situazione politica in Russia. Nemtsov potrebbe essere la vittima sacrificale per coloro che non si fermano davanti a nulla per raggiungere i loro scopi”.

Insomma, mille moventi e, per ora, nessun colpevole. Certo è che se è vero che non esiste più la cortina di ferro, ne sussiste un’altra non meno pericolosa, ed è la cortina di fumo che in qualche modo nasconde veleni, sospetti, vendette e crimini commessi nella ex Unione Sovietica. L’uccisione di Boris Nemtsov è solo l’ultimo di una serie di episodi. Due tra i tanti sono stati particolarmente eclatanti e – causalità della storia – vittime sono sempre stati oppositori della leadership di Putin.

Era il 7 ottobre 2006 quando Anna Stepanovna Politkovskaja, una giornalista russa molto conosciuta per il suo impegno sul fronte dei diritti umani, per i suoi reportage dalla Cecenia (in particolare delle torture commesse dalle milizie filorusse) e per la sua opposizione al Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, fu assassinata nell’ascensore del suo palazzo, mentre stava rincasando. La sua morte, da molti considerata un omicidio operato da un sicario a contratto, ha prodotto una notevole mobilitazione in Russia e nel mondo, affinché le circostanze dell’omicidio venissero al più presto chiarite. Ma fino a oggi non è emerso nulla di definitivo.

Il 23 novembre 2006 toccò a Aleksandr Val’terovič Litvinenko, morto a causa di un avvelenamento da radiazione da polonio-210, un isotopo radioattivo del polonio, in circostanze poco chiare. Tracce di polonio furono individuate in diversi locali nei quali Litvinenko si trovava prima del ricovero, in particolare nel sushi bar Itsu di Piccadilly, dove si era intrattenuto con ex agenti del KGB. Prima di morire, Litvinenko accusò pubblicamente il presidente russo Vladimir Putin di essere il responsabile del suo avvelenamento e il mandante dell’omicidio della giornalista Anna Politkovskaja. Voci, ipotesi, illazioni: ma niente prove concrete.

Ora la cronaca ci racconta di un altro oppositore di Putin che trova morte violenta: Boris Nemtsov – lo ricordiamo – stava passeggiando non lontano dal Cremlino, quando è stato raggiunto da quattro colpi alla schiena, sparati da sicari scesi da un’auto bianca. “Prenderemo gli assassini”, è la promessa fatta dallo stesso Vladimir Putin alla madre del leader dell’opposizione. Il presidente ha telefonato alla famiglia e ha parlato di un “atto crudele”.

Al di là degli attentati, delle supposizioni, dei retropensieri, ciò che resta di questi anni è certamente lo strapotere di Vladimir Putin, tanto da farlo assomigliare più a uno Zar che a un presidente di Repubblica. Il leader del Cremlino attualmente ha il ruolo di Presidente della Federazione Russa, a cui ci si riferisce comunemente come “presidente della Russia”; è il capo dello Stato e la più alta carica del governo russo. Ma da 1999 ad oggi è rimasto sempre sulla breccia.

Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, solo tre persone sono state elette presidenti. Il primo presidente è stato Boris Eltsin, eletto il 12 giugno 1991 per voto popolare diretto. Prese il potere il 7 luglio 1991 per un mandato di cinque anni, rinnovato per altri quattro secondo i dettami della costituzione russa del 1993; gli succedette quindi Vladimir Putin, eletto nel 2000 e nel 2004. Nel 2008 venne eletto Dmitrij Medvedev, candidato supportato dal presidente uscente Putin. Le ultime elezioni si sono tenute il 4 marzo 2012 e si sono concluse con la vittoria di Putin; il 7 maggio 2012 si è insediato ufficialmente al Cremlino succedendo dunque a Dmitrij Medvedev. Putin è diventato presidente della Federazione Russa per la terza volta, e da queste ultime elezioni la durata del mandato sale da 4 a 6 anni.

Nei periodi in cui non è stato Presidente, è rimasto comunque – come detto – sempre protagonista: Primo ministro della Federazione Russa dall’8 agosto 1999 al 7 maggio 2000, su nomina di Boris Eltsin.  Dopo due mandati da Presidente, impossibilitato a un terzo mandato consecutivo per il dettame della Costituzione Russa, ha favorito la vittoria del suo delfino Dmitrij Medvedev, che l’ha nominato nuovamente Primo ministro il giorno stesso del suo insediamento, il 7 maggio 2008.

Nella foto, dall’alto, Nemtsov, Politkovskaja e Litvinenko. A destra Putin