“Così la Polonia combatte l’aborto eugenetico”

I riflettori dell’Europa secolarizzata tornano a puntare sulla Polonia. Il Paese di Giovanni Paolo II, profondamente cattolico e saldo nel tutelare la vita fin dal concepimento, rappresenta un’eccezione alla regola laicista.

Sta avendo risonanza internazionale il dibattito sull’aborto scaturito da due proposte legislative in discussione a Varsavia, una che intende liberalizzare l’attuale legge e l’altra che prevede di renderla ancora più restrittiva. E nel dibattito che ha coinvolto l’opinione pubblica è tutt’altro che flebile la voce della Chiesa cattolica, che trova un terreno fertile in cui seminare, come testimonia l’enorme successo dell’iniziativa di devozione popolare il “Rosario ai confini”. In Terris ha ne ha parlato con Janusz Kotanski, ambasciatore della Polonia presso la Santa Sede.

Eccellenza, può spiegarci cosa prevede il disegno di legge chiamato “Fermiamo l’aborto”?
“È necessario spiegare anzitutto cosa prevede l’attuale legge polacca sull’aborto. Essa consente di interrompere volontariamente la gravidanza in tre casi: quando è in pericolo la vita della madre, quando il concepimento è avvenuto a seguito di uno stupro, quando il feto presenta malformazioni. In questo ultimo caso, è possibile abortire fino alla 24esima settimana. Ebbene, la grande maggior parte degli aborti in Polonia è dovuta a questa situazione: nel 2015, su 1.044 aborti, ce ne sono stati 1.000 per malformazioni o gravi patologie del feto, parliamo del 96%. L’obiettivo di questa legge è abolire questo terzo caso in cui è possibile abortire, ossia vietare l’aborto eugenetico. Si tratta di interpretare un sentimento popolare: secondo recenti statistiche, la maggioranza dei polacchi è contraria agli aborti eugenetici, alla soppressione di un bambino nel grembo materno solo perché è malato”.

A che punto è dell’iter parlamentare?
“Il Parlamento polacco si è trovato a discutere due proposte di legge sul tema dell’aborto. Una, ‘Fermiamo l’aborto’, che mira a proteggere la vita nascente; l’altra si propone invece di liberalizzare l’aborto e si chiama ‘Salviamo le donne’. Il 60% dei parlamentari ha votato contro questa seconda proposta. Il progetto ‘Fermiamo l’aborto’, invece, è stato approvato per un ulteriore riesame. Il presidente si è già detto pronto a firmare la legge se verrà licenziata dalle due Camere. Va sottolineato che attualmente la Polonia è l’unico Paese che propone leggi in favore della vita nascente, altrove la tendenza è a discutere leggi che liberalizzano l’aborto”.

Lei ha detto che la maggioranza dei polacchi è favorevole a questa legge. Eppure la stampa occidentale ha dato molta enfasi alle manifestazioni di protesta, specie di gruppi femministi…
“Il grosso delle proteste si è sollevato un anno fa, quando era in discussione un altro disegno di legge, proposto dai Giuristi Cattolici, che prevedeva di punire le donne che abortiscono. Ma questo testo non è nemmeno arrivato al dibattito parlamentare. Ribadisco: l’attuale legge in discussione sull’aborto gode del sostegno dei polacchi. Si tratta di una legge di iniziativa popolare che ha raccolto 830mila firme. È un numero significativo se confrontato alle 200mila firme raccolte per il progetto ‘Salviamo le donne’”.

Proteste che, tuttavia, sono avvenute anche ultimamente…
“A queste ultime manifestazioni, come ha detto lei, è stata data molta enfasi dalla stampa, ma l’adesione è stata di qualche migliaio di persone, non di più”.

La legge “Fermiamo l’aborto” prevede sanzioni per chi trasgredisce?
“No, assolutamente. L’obiettivo non è criminalizzare o punire le donne, è tutelare la vita nascente”.

La Chiesa polacca ha espresso il proprio favore nei confronti delle iniziative legislative che tutelano la vita nascente. Quanto influisce ciò sull’opinione pubblica?
“In Polonia Stato e Chiesa sono separati. Ma la Chiesa prende parte al dibattito pubblico quando c’è da difendere la vita umana. La gente chiede alla Chiesa un insegnamento chiaro su temi sensibili, vuole sentire “Sì, sì; no, no”, come diceva Gesù Cristo. La contrarietà all’aborto, mediamente, è più diffusa tra i giovani e gli anziani. Ora la Chiesa sta tentando di convincere anche le persone di mezza età che l’aborto è un male. Lo fa spiegando le ragioni del diritto naturale, senza imporre nulla. I fautori dell’aborto dispongono ampiamente dei mezzi di comunicazione per esporre le loro argomentazioni, ma come si vede ciò non cambia l’opinione della società civile su questo tema”.

Il tema dell’aborto è legato a quello demografico. Quali iniziative sta adottando il Governo per incentivare la natalità in Polonia?
“È stato introdotto un programma di aiuto alle famiglie che si chiama ‘Rodzina 500+’ (Famiglia 500+), che consiste nel dare 500 zloty al mese per ogni figlio, a partire dal secondo. La crisi demografica in Polonia è una realtà, dovuta in gran parte a motivi economici. Ad avvalorare questa tesi il fatto che le giovani polacche emigrate in Gran Bretagna, dove da anni esistono politiche per incentivare le nascite, hanno un indice di natalità molto più alto”.

Queste iniziative hanno fatto registrare già qualche risultato?
“Sì, nel 2016 abbiamo avuto oltre mezzo milione di nuovi nati in Polonia, circa 16mila in più rispetto all’anno precedente. Ma c’è ancora tanto da fare. In particolare stiamo lavorando su due aspetti, quello abitativo e quello dell’occupazione. Sicuramente sulla denatalità ha influito anche il problema della mancanza di alloggi, che da noi è strisciante fin dai tempi del comunismo. Per questo il Governo ha lanciato un programma di edilizia per le famiglie. Riguardo invece al lavoro, le politiche in questo senso hanno fatto scendere il livello di disoccupazione nel 2016 al 6,6%; pochi anni fa era al 12% circa. Questo è un buon segnale, perché la stabilità professionale è un incentivo a formare famiglie e a fare figli”.

Per via dell’enorme partecipazione di cittadini polacchi, ha avuto vasta eco, nel novembre scorso, il “Rosario ai confini”. Nel vostro Paese la testimonianza pubblica della fede cattolica è una realtà viva…
“Durante la Gmg di Cracovia, nel 2016, molti giovani provenienti dall’Occidente si sono meravigliati che in Polonia si può manifestare la fede cattolica in modo aperto e spontaneo. Ho conosciuto in quell’occasione un gruppo di francesi che recitava l’Ave Maria per le strade di Cracovia e si stupiva che nessuno li schernisse o li aggredisse. È significativo che il “Rosario ai confini” è stata non un’iniziativa della gerarchia ecclesiastica, bensì dei laici. C’è stata un’adesione massiccia, non solo ai confini, ma anche in luoghi pubblici e nelle chiese, anche all’estero. Ad esempio, qui a Roma, la Chiesa di Santo Stanislao dei Polacchi era affollata di persone che recitavano il rosario”.

Questo rosario aveva una connotazione politica, come qualche giornale in Occidente ha lasciato intuire?
“È stata vergognosa la stigmatizzazione di questa iniziativa di alcuni media che si spacciano per liberali. Il loro atteggiamento di censura verso la manifestazione pubblica della fede ricorda quello dei comunisti, che volevano ridurre il cattolicesimo a fatto privato. E se accettiamo questa idea oggi, domani dovremo accettare persino che il Papa non potrà apparire in pubblico. Non era un’iniziativa contro qualcuno ma per ringraziare Dio per la libertà della nostra patria. Ricordo che noi cent’anni fa abbiamo riconquistato l’indipendenza, così come l’abbiamo dovuta riconquistare più di recente, dopo il comunismo. E poi eravamo nel centenario delle apparizioni di Fatima, durante le quali la Madonna ha chiesto ai fedeli di pregare il rosario. I cattolici nel mondo hanno capito le vere intenzioni dell’iniziativa, tant’è che è stata imitata in Italia, in Irlanda e negli Stati Uniti. Ciò dimostra che la gente sente il bisogno di manifestare pubblicamente la propria fede”.

L’iniziativa è coincisa con l’anniversario della Battaglia di Lepanto…
“Non ci vedo alcuno scandalo. Io sono uno storico e non posso che riconoscere, con oggettività, che quella vittoria, insieme al successivo trionfo a Vienna dell’esercito europeo comandato dal re polacco Giovanni III Sobienski, hanno salvato l’Europa dall’invasione islamica. Non bisogna vergognarsi di questi due fatti storici così importanti. Ma, ribadisco, il senso di quel rosario era comunque un altro”.

Tuttavia, stando agli ultimi dati dell’Istituto di Statistica della Chiesa cattolica in Polonia, la partecipazione dei polacchi alla Messa è in calo. Come si spiega questa flessione?
“I dati precedenti avevano registrato un incremento dell’1,5%, stavolta c’è stato un calo del 3%: è un’oscillazione continua, ma la percentuale di partecipanti alla Messa resta stabile intorno al 40%. Per la Chiesa polacca è preoccupante l’ultimo calo e suggerisce nuove sfide pastorali da intraprendere. Va tuttavia considerato che questi dati sono molto confortanti rispetto a quelli di altri Paesi storicamente cattolici come il nostro. Dopo la caduta del comunismo, in molti prevedevano che la libertà e il benessere avrebbero accelerato il processo di secolarizzazione, ma questo non è avvenuto. La Polonia resta cattolica”.