Brexit, Johnson strappa l'accordo a Bruxelles

E'un giorno e mezzo dalla deadline imposta dalle opposizioni, Boris Johnson sembra aver strappato all'Ue quell'accordo paracadute che potrebbe consentire al Regno Unito di lasciare il novero di Bruxelles senza traumi, con qualche concessione in più sul tema backstop ma anche qualche malumore interno con cui fare i conti. Perché in realtà, accordo o meno, l'Unione è stata per buona parte delle trattative un attore quasi di margine, nel senso che la sua centralità ha lasciato presto il posto alla bagarre portata da un componente di peso altrettanto fondamentale come il Parlamento britannico. La partita, anche questa volta, si giocherà lì: Johnson ha fatto il suo, convinto dall'Europa a rivedere qualche posizione granitica per riuscire a trovare la via della stretta di mano, ma la sfida del voto a Westminster potrebbe non rivelarsi altrettanto facile. Innanzitutto, il passo indietro sul confine nordirlandese, che con la nuova intesa vedrà di fatto abolito il backstop  concedendo un'autonomia a tempo ai confini con l'Irlanda, non soddisfa gli unionisti del Dup, coloro che salvarono Theresa May ai tempi del voto anticipato e che, recentemente, hanno ospitato i comizi del nuovo premier. E, nemmeno a dirlo, contrari sono i laburisti di Jeremy Corbyn, che ha già fatto sapere che l'accordo non lo sosterranno. In pratica, il margine di Johnson si assottiglia ma, se il leader Lab ha già chiarito che il suo partito (o almeno la parte fedele al 100% con il suo programma che punta al referendum bis) voterà no, i nordirlandesi hanno solamente manifestato la propria contrarietà senza per ora sbilanciarsi.

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I contrari

In sostanza, se dall'Unione si ritengono soddisfatti, in primis Juncker (“Dove c’è volontà c’è accordo e noi lo abbiamo, bilanciato ed equo per l’Ue e Gb e testimonia il nostro impegno a trovare soluzioni”) e Michel Barnier (“La pazienza è una virtù e la Brexit è una scuola di pazienza. Abbiamo trovato un accordo sul recesso ordinato e sul quadro delle nostre relazioni future”), da Londra qualche mugugno c'è ancora. Corbyn ritiene l'accordo ottenuto da Johnson ancora peggiore di quello sottoscritto da Theresa May e bocciato tre volte: “Queste proposte rischiano di scatenare una corsa al peggio in termini di diritti e protezioni: rischiano di mettere la sicurezza alimentare a rischio, di abbassare gli standard ambientali e i diritti dei lavoratori e di spalancare le porte del sistema sanitario a operazioni di conquista da parte del settore privato. Questo accordo di svendita non riunirà il Paese e deve essere respinto. Il modo migliore di superare l'impasse di Brexit è quello di ridare al popolo la possibilità di dire la sua in un voto finale”.

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La prova del voto

Il punto è che entro sabato tutto dovrà essere deciso: il Consiglio europeo dovrà dire la sua e, soprattutto, dovrà dirla Westminster, in un Parlamento senza maggioranza e con la sicura opposizione di due forze importanti. Qualora si arrivasse alla bocciatura lo scenario sarebbe quantomeno surreale, con i tempi per chiedere una proroga estremamente esigui (quasi impossibili) e nessuna certezza di ottenerla da parte di Bruxelles; a quel punto l'unica via sarebbe il voto, con Johnson che porterebbe in campagna elettorale la sua nuova versione dell'accordo contro “l'antidemocratico backstop”. Ma, per ora, punta su un semplice hashtag: #GetBrexitDone.