“Quello che veramente importa”, il film che regala speranza

Chi è che non si sia mai chiesto, almeno una volta nella vita, “che cosa è veramente importante”? Il bello di una domanda come questa è che le risposte, per quanto declinate in base al singolo individuo, finirebbero più o meno per essere le stesse. Famiglia, salute, stabilità economica, condizioni umane che accomunano un po' tutti. E' nel momento in cui nessuna di queste si manifesta, o tarda a manifestarsi, che inizia il vero confronto con se stessi, alla ricerca di qualcosa che ci sia sfuggito, di qualche tassello mancante, o semplicemente di una nuova opportunità. Più o meno quello che succede ad Alec, giovane inglese dalla vita dissoluta  che, per ritrovare qualche traccia di sé, dovrà emigrare in Canada, dove suo zio è pronto a ripagare i suoi debiti in cambio di un anno trascorso nella casa di famiglia, in Nuova Scozia. L'iniziale riluttanza alla vita tranquilla e spontanea della locale comunità rurale diventerà ben presto secondaria, quando Alec si ritroverà di fronte a un dono, quello di guarire le persone, che lui, lontano dalla fede, faticherà non poco a comprendere e, soprattutto, ad accettare. Questo finché non arriverà Abigail, un'adolescente affetta da un male incurabile…

Lo scopo

“Quello che veramente importa”, particolare opera del regista messicano Paco Arango, è un film unico nel suo genere. E non per la trama o per lo stile fiabesco, che quasi sussurra allo spettatore. La pellicola è la prima in assoluto ad avere uno scopo unicamente benefico, con l'incasso da devolvere per intero all'associazione Dynamo Camp, fondata da Paul Newman (a cui è dedicato il film) e, più in generale, a sostegno dei bambini affetti da qualsiasi forma di disabilità o malattia. O meglio, a sostegno di tutto ciò che può essere fatto perché dei bambini ci si sentano davvero. E' l'aspetto che fa tutto e dice tutto. Non che vada a sminuire il lavoro che c'è dietro: la storia è godibile, gli attori sono di spessore (Oliver Jackson-Cohen nel ruolo del protagonista, affiancato da Camilla Luddington e Jonathan Pryce) e lo scopo di intrattenimento riesce alla perfezione, vista anche la trama coinvolgente e il messaggio di positività sempre più palpabile man mano che il film avanza. L'orbita attorno a cui tutto ruota si stacca necessariamente dalla trama, certo. Questa resta però fondamentale perché, tenendo viva l'attenzione dello spettatore, riesce a veicolare un contenuto difficile in modo semplice e d'impatto. Arango, d'altronde, non è nuovo a questo tipo di sfide, visto il suo forte impegno nel sociale, soprattutto nell'ambito dell'infanzia che lo ha portato a creare la fondazione Aladina e a vivere in prima persona il dramma dei bambini affetti da gravi malattie.

Il vero miracolo

A rendere appetibile il tutto sono inevitabilmente le intenzioni nobili, il che pone la pellicola già di per sé sul piano della bellezza. Il plot, poi, si snoda progressivamente, quando il protagonista si trova davanti al suo dono speciale che, nonostante qualche imprevisto, lo porterà in breve a essere un punto di riferimento per quella piccola comunità nella quale si è forzatamente inserito. Sul fiume principale della trama converge qualche affluente: il confronto con Dio, da lui escluso a priori in quanto non visibile; il suo quasi del tutto assente legame con la famiglia, specie dopo aver perso il fratello gemello Charlie, originariamente lui destinatario del dono. Una storia di oggi ma anche una fiaba, fatta per “ridere e per commuovere”, come spiegato dallo stesso regista, lontana anni luce dalla logica dei blockbuster ma nemmeno una pellicola che mira a tutti i costi a veicolare qualche insegnamento. Il messaggio è “scritto” in un linguaggio talmente semplice da far apparire Alec non troppo diverso da ognuno di noi, nonostante il suo “essere speciale”. L'uomo, con le sue fragilità e i suoi difetti, può essere davvero capace di fare miracoli, laddove affetto, sensibilità e amore spontaneo, come quello di un bambino, possono rendere il confronto con ciò che siamo un viaggio meno difficile. Anzi, un percorso di vita capace di “guarire” non solo se stessi ma anche chi ci è vicino.