Quando la giustizia vince sul potere

Pochi conoscono la storia del capitano dello stato maggiore Alfred Dreyfus, ebreo che nel 1894 fu accusato ingiustamente di alto tradimento e condannato all’ergastolo sull’Isola del Diavolo, pochi sanno che a lottare perché fosse fatta giustizia sul suo caso fu l’ufficiale di carriera dell'esercito francese Georges Picquart, che da colonnello divenne il nuovo capo dell'ufficio informazioni dello Stato Maggiore. Piquard, nonostante non nutrisse particolare simpatia né per Dreyfus né per gli ebrei, nel 1896 riaprì il caso convinto dell’innocenza del capitano e fu sostenuto nell’impresa da Emile Zola di cui ancora si legge nei libri di scuola il famoso J'accuse, che dà il titolo anche al film. Per questo Zola fu condannato ad una onerosa multa e a una condanna da scontare in prigione, ma il fantasma di quanto sarebbe accaduto non riuscì a fermare l’onestà di fondo che lo ha caratterizzato per tutta la vita.

L'ufficiale e la spia

Tratto dal romanzo del 2013 di Robert Harris, anche co-autore della sceneggiatura assieme a Polański, co-prodotto con la Francia dall’Italia, Luca Barbareschi e Rai Cinema, con l’interpretazione fra gli altri di un ispirato Louis Garrel, di un perfetto Jean Dujardin di Emmanuelle Seigner e con un cameo di Luca Barbareschi, il film ha da subito scatenato polemiche, nonostante gli applausi di critica e pubblico. La presidente di giuria Lucrecia Martel ha dichiarato: “Non parteciperò al galà, non intendo applaudire Polanski”, di cui tutti conosciamo i trascorsi drammatici e la storia di stupro che da anni fa discutere l’opinione pubblica. Barbareschi aveva anche minacciato di ritirare il film, ma sembra che dopo siano arrivate le scuse della Martel. “Questo non è un tribunale morale – ha sostenuto Barbaresch – è una meravigliosa festa del cinema e per nostra fortuna l’arte è libera. Il film deve parlare, la giuria giudicare, il pubblico applaudire”. Il film evidenzia l’ipocrisia del potere e la facilità con la quale coloro che eseguono gli ordini si dispensino da qualsiasi responsabilità, tanto da riecheggiare le parole di zanna Arendt scritte ne “La banalità del male”. Sia quanto accade in quel momento, sia quanto accade a Dreyfus diviene, alla luce dei fatti successivi, solo un antipasto di quanto sarebbe successivamente accaduto con la Seconda guerra mondiale. Gli stessi figli di Dreyfus torneranno ad essere perseguitati molti anni dopo scontando la maledizione che pesava sulle spalle del padre.

Nessun vincolo

Polanski non si censura nel mettere alla berlina le alte cariche del potere, i sottoposti che pur di essere graditi ai loro superiori non ascoltano la propria coscienza, ma Piquard è sorretto dalla sua rettitudine e dal senso della giustizia che emerge in lui sia nella postura, sia nei piccoli dettagli che né tratteggiano il carattere in ogni scena. Una sceneggiatura meravigliosa dice il regista in conferenza stampa e Garrel incalza simpaticamente con un italiano molto ben articolato rispondendo a chi gli ha chiesto cosa gli ha lasciato il film: ”Mi ha lasciato senza capelli”. Il personaggio di Dreyfus nel corso della storia perde infatti i capelli. Le immagini sono un tripudio per gli occhi, i dialoghi perfetti, le recitazioni inappuntabili e le musiche di Alexander Desplat perfette.

L'opera di Martone

Lasciamo spazio a dopo per una recensione più articolata, certi che il film durante la serata di premiazione tornerà a far parlare. Sappiamo già però che verrà proposto come opera da guardare nelle scuole, sia per far conoscere la  storia, sia per sviluppare nei ragazzi quella coscienza di cui oggi si avverte una grande necessità. In tema di giustizia e di potere si cimenta anche Mario Martone con il film Il sindaco del rione Sanità, piece teatrale di Eduardo De Filippo rappresentata in palcoscenico e ora sul grande schermo dal collettivo di attori indipendenti del NEST di San Giovanni a Teduccio, che agiscono sul territorio cercando di togliere i ragazzi dalla strada.

Martone riesce con grande capacità espressiva Grazie anche all’aiuto della moglie co-sceneggiatrice e dell’attore principale Francesco di Leva che da copro e vitalità al protagonista principale. Colui che a Napoli chiamano Il Sindaco del rione sanità per la sua capacità di districare situazioni complicate. Amante del lusso, del potere, della spettacolarizzazione Barracano, allo stesso modo in cui si rovescia un guanto, ci mostrerà il suo grande desiderio di migliorare le cose, la lealtà, la capacità di fare un passo indietro, mentre un apparente rispettabile padre di famiglia insegna ancora come l’apparenza non risponda sempre all’interiorità. Martone é il primo italiano in concorso e con il gioco di luci, le rappresentazioni degli interni, le atmosfere, una storia universale seppur ambientata a Napoli, riesce a conquistare il pubblico.