L'attualità di Furore, il libro che da 80 anni racconta di migrazioni climatiche

Possono i cambiamenti climatici ed economici influire sulla vita delle singole persone? Si tratta di una domanda retorica, di cui spesso s'ignora la portata. Eppure i dati sono chiari: il report stilato dalla Banca Mondiale nel 2018 prevede che, entro il 2050, almeno 143 milioni di persone saranno costrette a spostarsi a causa del cambiamento climatico. Tutto questo sembra nuovo, eppure “la voce d'America”, John Steinbeck ne aveva scritto già ottant'anni fa. Nel suo romanzo Furore, infatti, il premio Nobel per la letteratura del 1962 scandaglia, nell'esodo della famiglia Joad, che dall'Oklahoma parte verso la California in cerca di lavoro, un interrogativo esistenziale e complesso, che porta con sé la miseria nonostante il desiderio di speranza. Furore è un romanzo di mani, perché il miraggio del lavoro frantumato dal crollo della Borsa di Wall Street nel '29 e dalle tempeste di sabbia nel Midwest, le famigerate “dust bowl”, rimette al centro un'umanità sofferente, che cerca la vita contro le minacce di morte, lo stesso anelito che esprimono i tanti migranti nel mondo, in balìa di esodi spesso fatali. 

L'iniziativa della Fondazione De Sanctis

Per questo la Fondazione De Sanctis ha deciso, pochi giorni dopo l'ottantesimo anniversario dall'uscita del libro, di riportare all'attenzione alcuni dei brani più significativi del romanzo. Nella giornata di ieri, presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il turismo, l'attore Massimo Popolizio ha messo in scena alcuni brani significativi del libro. Parole che hanno offerto spunti per un dibattito condotto dal critico letterario Emanuele Trevi e dal giornalista Leonardo Colombati. Tracciare, attraverso la lettura di Furore, la società statunitense a cavallo delle due guerre mondiali, è stata l'occasione per un confronto sul tema dei cambiamenti climatici e le migrazioni. L'iniziativa ha rappresentato un pregevole esempio della missione più nobile della letteratura: parlare al presente per interrogarsi sul proprio futuro.