La settima arte all’ombra del Cupolone

I

l punto di partenza è l’impossibilità di una storia del cinema separata dall’orizzonte di una storia della cultura. Il 16 novembre 1959 è una data importante nella storia del rapporto tra i cattolici e il cinema. Quel giorno Giovanni XXIII, a poco più di un anno dal suo insediamento sulla Cattedra di Pietro, inaugurava la Filmoteca Vaticana, portando così a compimento l’intuizione coltivata all’inizio di quel decennio dal suo predecessore Pio XII.

Il cinema dei Papi

La sacra pellicola si srotola agevolmente lungo le 165 pagine di saggio suddivisa in due parti. La prima parte racconta Eugenio Pacelli e il cinema; la Santa Sede e il cinema negli anni di Pio XII; nuove prospettive, nuove istituzioni, il cinema del Papa: verso la Filmoteca Vaticana. La seconda parte si occupa di Angelo Giuseppe Roncalli e del cinema; transizioni epocali: la Santa Sede e il cinema verso il Concilio, Il Cinema del papa: l’istituzione della Filmoteca Vaticana. Infine le note conclusive: immagini (e scenari) in movimento. A raccontare la storia di questo pezzo molto particolare della vita vaticana è monsignor Dario Edoardo Viganò, vicecancelliere della Pontificia accademia delle scienze e della Pontificia accademia delle scienze sociali, nel libro “Il cinema dei Papi. Documenti inediti dalla Filmoteca vaticana” (Marietti). Monsignor Viganò, un passato nel Centro televisivo Vaticano prima e poi come Prefetto della Comunicazione, è un grande esperto di cinema e docente di questa materia in diverse università. Il libro di monsignor Viganò, insieme al WebDoc a puntate nato dalla stessa pubblicazione, sarà presentato a Roma, nella sede dell'Ambasciata italiana presso la Santa Sede, il 29 ottobre. Le due parti che compongono il volume hanno un filo narrativo simile, muovendosi a cerchi concentrici da una prima ricognizione generale sull’atteggiamento complessivo verso il cinema tenuto da Pio XII e Giovanni XXIII – il primo e il quarto capitolo –, per poi indagare la declinazione istituzionale di questi approcci, andando infine a puntare il focus dell’analisi sugli specifici passaggi che portarono alla nascita della Filmoteca Vaticana.

La pontificia commissione

“Compie settant'anni il “cinema” all'interno delle mura vaticane – riferisce l’Ansa -. La sala di proiezione al Palazzo San Carlo cominciò ad essere operativa nel luglio del 1949. Lo scopo era rendere agevole la visione delle pellicole da parte della Pontificia Commissione per la Cinematografia Didattica e Religiosa”. Era appena stata costituita e subito si vide arrivare una quarantina di soggetti da visionare per esprimere giudizi o consigliare ritocchi. Gli autori cercavano una sorta di “imprimatur” da parte della Santa Sede per le loro opere. “È il nucleo originale di quella che nel 1953 diverrà la Filmoteca vaticana, avviata con pellicole provenienti dall'appartamento privato di Pio XII, e istituita poi formalmente nel 1959 da Giovanni XXIII”, puntualizza l’Ansa. Avvalendosi di documenti in gran parte inediti, provenienti dagli archivi della Segreteria di Stato, del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede e anche della Gendarmeria pontificia, ha messo insieme i puzzle di questa particolare esperienza all'interno delle mura leonine.

8 mila titoli in archivio

“Oggi sono ottomila i titoli in archivio che documentano le immagini in movimento dei pontificati novecenteschi, a partire dal primo “ciak” papale, un documento del 1896 che mostra una passeggiata di Papa Leone XIII nei Giardini Vaticani – osserva l’Ansa -. Oltre ai documenti storici, la Filmoteca conserva anche il Fondo Joye (dal nome del padre gesuita Joseph Joye, di fatto il primo studioso di cinema nella Chiesa), una raccolta di film risalenti ai primordi del cinema, tra cui il kolossal italiano “L'inferno”, del 1911; ci sono poi documentari di arte, cultura, attualità e film commerciali e di valore artistico”. L’inaugurazione nel ’59 della Filmoteca Vaticana è descritta nel denso e originale saggio come “un evento in sé carico di potenti simbolismi perché, come non mancò di notare la stampa dell’epoca, la nuova istituzione (ultimo segno dell’attenzione dei pontefici verso i mezzi di comunicazione) trovava sede nel cuore del Vaticano nei locali di Palazzo San Carlo che appena quindici anni prima erano divenuti il centro logistico di quell’Ufficio Informazioni per i prigionieri di guerra che era stato l’esempio più significativo del felice connubio tra un’alta esperienza di comunicazione e l’esercizio della carità della Chiesa al suo massimo grado”.

L’intuizione di Pio XII

Già tre anni dopo la fine del conflitto, ricostruisce l’autore, Pio XII aveva insediato lì la Pontificia Commissione per la Cinematografia Didattica e Religiosa e subito si era cominciato ad allestire una saletta di proiezione al piano terra del Palazzo, che poi sarebbe divenuta col tempo una sorta di “cinema del papa”, ancor oggi centro nevralgico dell’attività della Filmoteca Vaticana. “Ma al di là di queste simbologie contingenti, quella data si può dire rappresenti uno spartiacque nel rapporto tra la Chiesa e il cinema, o meglio il crocevia di una transizione che l’evento del Concilio Vaticano II avrebbe completato – afferma Viganò -. L’istituzione della Filmoteca Vaticana può essere infatti guardata sia come l’atto finale di una relazione con i media ancorata alla strategia della doppia pedagogia (in equilibrio tra ammonimento e incoraggiamento), fulcro della prospettiva della Chiesa di Pio XII, sia come l’annuncio della profonda rivisitazione del rapporto tra i mezzi di comunicazione di massa e l’azione ecclesiale, esito di quella nuova attenzione ai “segni dei tempi” proposta dal pontificato giovanneo”.

Fase di trasformazione

In occasione dei sessant’anni della Filmoteca Vaticana, tornare a rileggere quei passaggi significa, per l’autore del saggio, porsi nel centro di una cruciale fase di trasformazione che, non per caso, da qualche tempo intercetta gli interessi degli studiosi dei media. D’altra parte, è stata proprio la Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede (divenuta Dicastero nel 2018) a favorire, fin dalla sua istituzione nel 2015, l’attenzione dei ricercatori su questi temi, ponendo al centro un iniziale rilancio della Filmoteca Vaticana divenuta sede nel 2017 di un primo convegno di studi per i sessant’anni dall’enciclica Miranda prorsus di Pio XII, organizzato in collaborazione con la Scuola Normale Superiore di Pisa. Il libro, quindi, rappresenta anche l’ultimo sviluppo di un lavoro di ricerca sulla relazione tra la Chiesa e il cinema che Viganò ha personalmente cominciato negli anni Novanta concentrandosi sulla realtà ambrosiana. “Il volume che dedicai alla ricostruzione dell’atteggiamento verso il cinema tenuto dagli arcivescovi di Milano nel corso del Novecento si fondava su una metodologia d’analisi centrata sull’esame di lettere, documenti ufficiali, dichiarazioni, articoli e materiali d’archivio talvolta inediti – spiega il vicecancelliere della Pontificia accademia delle scienze e della Pontificia accademia delle scienze sociali -. Quella ricerca nasceva nel contesto di un interesse coltivato con i ricercatori che allora si erano raccolti con Francesco Casetti attorno alla rivista 'Comunicazioni Sociali' dell’Università Cattolica di Milano nei primi anni Novanta, da cui presero avvio diversi filoni di indagine culminati alla metà del primo decennio degli anni Duemila anche nell’importante collana in tre volumi Attraverso lo schermo. Cinema e cultura cattolica in Italia, editi dalla Fondazione Ente dello Spettacolo, che curai allora con Ruggero Eugeni”. All’interno e a fianco di questi filoni sono scaturite ricerche su figure rappresentative dell’attivismo delle diocesi lombarde in campo cinematografico (padre Agostino Gemelli, don Angelo Zammarchi, don Giuseppe Gaffuri, don Giuseppe Fossati, padre Nazareno Taddei) o su temi e casi di studio particolari (il cinema missionario, i pubblici cattolici, i film emblematici come La dolce vita di Federico Fellini).

Figure chiave

L’autore fa emergere il ruolo di figure chiave come Giovanni Battista Montini, Martin J. O’Connor, Albino Galletto e Andrzej M. Deskur: tutte protagoniste in diversi modi del processo che portò alla veloce trasformazione della Commissione pontificia esclusivamente dedicata al cinema fino alla nascita, nel 1954, della Pontificia Commissione per la Cinematografia, la Radio e la Televisione. “Tra queste figure sarà soprattutto Deskur all’alba degli anni Cinquanta a gestire le primordiali fasi di gestazione di quella che circa un decennio dopo sarebbe divenuta la Filmoteca Vaticana – puntualizza Viganò – Fu proprio il sacerdote di origini polacche, chiamato nel 1952 a dar man forte a Galletto alla segreteria della Commissione pontificia per il cinema, a render subito più solida l’intuizione di Pio XII di creare un deposito di film nel cuore del Vaticano, accompagnando i primi passaggi che portarono alla costituzione già nel 1953 di una prima cineteca vaticana in un magazzino del vicolo del Perugino”. L’avvento al soglio di Giovanni XXIII fece intravedere subito anche un mutamento d’atteggiamento nella gestione delle prosespettive verso il cinema e i media, le quali tuttavia presentavano anche delle innegabili continuità col pontificato precedente. Se il motu proprio Boni pastoris del febbraio 1959 rese ancor più solida la posizione della Pontificia Commissione per la Cinematografia, la Radio e la Televisione portando per certi versi ad una maggiore centralizzazione della politica vaticana verso i media, la radicale diversità nel personale approccio ai mezzi di comunicazione di massa da parte del papa rispetto ai pontificati che lo avevano preceduto, e le aperture verso il mondo del cinema da lui mostrate negli anni in cui era patriarca di Venezia, suscitarono attese in ogni parte del mondo.

Segnali di apertura

“Una situazione che indusse in certi ambienti del cinema l’anticipazione e, più volte, il travisamento di segnali di apertura e innovazione, che dovettero essere puntualmente frenati dagli interventi delle autorità vaticane – analizza Viganò -. È in questo contesto in profonda transizione che prese forma ufficiale la Filmoteca Vaticana: l’articolato processo di redazione dello statuto che vide protagonista il nipote di Pio XII, Carlo Pacelli, Consigliere generale dello Stato della Città del Vaticano, fu condotto con l’apporto di numerose personalità della Curia vaticana e degli ambienti cattolici romani, tutte decise a conferire al nuovo ente uno status che la ponesse nel solco delle grandi istituzioni vaticane dedite alla conservazione del patrimonio del passato”. La ricognizione su questi primi sessant’anni di storia della Filmoteca Vaticana fa emergere la distanza tra le grandi aspettative iniziali e i concreti esiti fino ad oggi effettivamente raggiunti, ma anche le enormi potenzialità di un’istituzione che, come suggerirono i redattori del suo statuto, può senz’altro ancora ambire a onorare la “secolare tradizione della Santa Sede” tesa ad “accogliere i più notevoli documenti di storia e di cultura”, gestendo con oculatezza una politica culturale che valorizzi le fonti su cui sempre più in futuro si costruirà la storia del cattolicesimo.