La pittura metafisica di Giorgio Morandi al Complesso Vittoriano

“Per conoscere non è necessario vedere molte cose, ma guardarne bene una sola”. Parola di Giorgio Morandi 1890-1964, pittore bolognese universalmente noto per essere stato precursore della pittura metafisica e innovatore assieme a Giorgio De Chirico della corrente dell’astrattismo. La sua biografia artistica titolata “La curatela di Giorgio Morandi”, è allestita a Roma, presso il Complesso del Vittoriano che inaugura dal 27 febbraio al 23 giugno, curatrice dell’evento, Maria Cristina Bandera, direttrice della Fondazione Longhi ed esperta del pittore del quale ha allestito le più recenti mostre internazionali.

Non saranno esposte solo le sue note nature morte in olio, ma anche disegni, acquerelli e incisioni come quella che gli valse il Gran Premio della Biennale di San Paolo in Brasile, nel 1953, prestigioso riconoscimento internazionale. Un’arte, la sua che deve la fortuna ai genitori che seppero cogliere nell’artista appena bambino, un talento e una passione smisurata per il disegno. Talmente esagerata da costargli molte discussioni e divergenze con gli insegnanti, nonostante i voti eccellenti presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, per la sua singolare visione dell’arte distaccata dal classicismo. Tutt’altro che astratto, futuribile e fantastico, il suo stile è piuttosto  teso alla ricerca riflessiva e meditata della realtà. attento alla prospettiva e curatissimo nello studio delle fonti di luminosità.

Egli stesso affermava infatti: “Per me non vi è nulla di astratto: per altro ritengo che non si via nulla di più surreale, e di più astratto del reale”. La sua ricerca artistica, dai primi paesaggi nati dalla sensibilità verso la pittura di Cèzanne, è arrivata al futurismo e alla metafisica del reale, passando per l’osservazione dei grandi maestri come Giotto che studiò soggiornando a Firenze. Un viaggio idealistico che lo portò a costruirsi una propria e unica identità artistica. A corollario della sua rappresentazione artistica anche archivi epistolari degli scambi con Roberto Longhi e Cesare Brandi, i critici che furono tra i suoi primi collezionisti.