E’ italiano il restauro delle opere di Palmira sfregiate dall’Isis

Due busti funerari che ritraggono marito e moglie. Dentro una cassa, tra posti di blocco e frontiere da superare, come due amanti fuggiaschi, sono giunti in Italia. Risalenti al II-III secolo d.C, oggi sono icone dell’arte ferita a Palmira. Per la prima volta hanno lasciato la loro terra e temporaneamente affidate all’Italia, grazie all’accordo tra l’Associazione Incontro di Civiltà e la Direzione delle antichità di Damasco, per essere prima esposte al Colosseo nella mostra “Rinascere dalle distruzioni, Ebla, Nimrub, Palmira”, e per poi essere “curati” dai laboratori dell’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro.

Franceschini: “Riconosciuta la qualità dell’Italia”

Una complessa operazione diplomatica che, come racconta il Ministro di Beni Culturali e Turismo, Dario Franceschini, è “prova della qualità riconosciuta in tutto il mondo ai nostri istituti e dell’affidabilità acquistata dal nostro paese in questi decenni”. Dell’Italia e delle sue eccellenze le autorità siriane si sono infatti fidate anche dopo il grave incidente internazionale con la Francia, con opere prestate per un’esposizione a Parigi e mai restituite per lo scenario di guerra improvvisamente scoppiato in patria.  “A mia memoria – dice il presidente di Incontro di Civiltà, Francesco Rutelli – non esistono altri casi di sculture che escono da un teatro di guerra, vengono restaurate in un altro paese e poi restituite. Una piccola operazione miracolosa con tutto il sostegno del governo italiano”.

Il salvataggio dall’Isis

Quando nel 2015 i funzionari del Museo archeologico di Palmira corsero a salvare i loro reperti dall’arrivo dello Stato Islamico, dovettero infatti lasciare indietro le statue e i sarcofagi più grandi, così come i due busti provenienti dalla Valle delle tombe, perché esposti “incastonati nelle pareti”. La furia dell’Isis è implacabile sui loro volti, ma quando la città è temporaneamente liberata, nella primavera 2016, gli studiosi tornano a salvarli e li portano a Damasco. Da qui i due busti, chiusi in una cassa, partono per Beirut. L’esito non è scontato: rapporti formali con l’Italia non ci sono e passeranno altre 48 ore tra ambasciata, permessi e l’intervento dell’incaricato d’affari italiano, prima che la Pinnock riesca a caricarli sull’aereo per l’Italia, il 5 ottobre.

Il restauro

Ora l’Iscr e la squadra guidata dal direttore Gisella Capponi lavorano al restauro, frammento su frammento, ma anche con tecnologie all’avanguardia. Per la parte mancante del volto si ricorrerà a una sofisticatissima stampa in 3D con sinterizzazione di polveri di nylon: una sorta di protesi che ricomporrà i lineamenti, rimanendo però rimovibile. “I due busti – conclude Rutelli – diventeranno così testimoni della guerra, della volontà di distruzione ma anche della volontà di restauro”. A fine mese torneranno a Damasco, custoditi al sicuro nei caveaux della Banca centrale siriana. Con la speranza, un giorno, di rivedere casa, a Palmira.