La fede non è semplicemente una convinzione, è un sentimento di altra natura con una sua esplicita specificità. E come ricorda in un saggio Claudio Magris, la fede afferra e fa afferrare, attrae e trasforma. Dopo la gloria dell’Incarnazione, la missione e l’esilio si sono alternati nella percezione del credere cristiano in Occidente. Sulla fede di Giorgio Pressburger e Dopo la Gloria. I secoli del credere in Occidente di Carlo Ossola sono due testi dei testi con cui la Treccani ora scandaglia l’irriducibilità di concetti cardine, incrociando scienza e credenza, fides et ratio. Una collana che interroga al pari delle pagine più intense della riflessione teologica degli ultimi pontificati.
Il richiamo della modernità
E’ affascinante approfondire in particolare le radici e l’eredità del pensiero teologico di Joseph Ratzinger. Benedetto XVI è stato un papa intellettuale, un teologo ostile a San Tommaso e cresciuto su Sant'Agostino, San Bonaventura e Origene (di cui ha a lungo condiviso l'ipotesi dell’”inferno vuoto”, la bontà di Cristo salva tutti). Per ricostruirne la tormentata biografia di fede e idee, è importante rileggere l'evoluzione del giovane prelato tedesco nei diversi contesti che lo hanno accolto. Per decenni nei mass media si è radicata l’immagine di un Joseph Ratzinger-Giano Bifronte: all’inizio del suo percorso ecclesiastico e accademico fu teologo progressista e favorevole alla modernità e poi, chiamato in Curia da Giovanni Paolo II per guidare l’ex Sant’Uffizio e infine sul Soglio Di Pietro, arcigno custode dell’ortodossia e strenuo sostenitore della tradizione a scapito del dialogo con il mondo contemporaneo. Come spesso capita, però, la realtà è più complessa delle semplificazioni giornalistiche. Dal 1946 al 1951 Joseph Ratzinger studiò nella Scuola Superiore di Filosofia e di Teologia di Frisinga e nell’Università di Monaco di Baviera. L’aver superato senza conseguenze le brutte esperienze della guerra, rafforzò la convinzione che Dio avesse dei progetti per lui. Le disavventure di quegli anni lo avevano fatto confrontare con la paura e costretto a vivere in modo brutale, aveva visto letteralmente la morte in faccia e tutto questo lo aveva cambiato profondamente, facendogli comprendere l’importanza di molte cose prima considerate ovvie e confermando sempre di più l’intenzione di diventare sacerdote. Stava per iniziare un periodo molto felice e, finalmente, tranquillo. E sembrava di secondaria importanza che fossero anni difficili, di grande povertà. Perché ciò che contava di più era che la guerra era finita ed era stato sconfitto quel malvagio regime che aveva causato così tanta sofferenza all’umanità.
La voglia di rinascere
Appena arrivati, Joseph Ratzinger e suo fratello Georg, si accorsero che il seminario di Frisinga, era stato adibito a ospedale militare per prigionieri di guerra stranieri, che erano ricoverati lì in attesa del loro ritorno in patria. Durante le feste di natale del 1945 si erano create le condizioni che gli aspiranti potessero essere ospitati al meglio, anche se gran parte della casa doveva essere utilizzata ad altri scopi, determinati dai postumi del conflitto mondiale. C’erano circa 120 seminaristi di tutte le età, assieme per incamminarsi sulla strada del sacerdozio. Molti di loro avevano prestato servizio militare. Ratzinger aveva solo 19 anni e alcuni di coloro che erano stati a lungo sottoposti alle agonie della guerra, lo guardavano, così come avveniva con gli altri suoi coetanei, come un ragazzino immaturo, a cui erano mancate le sofferenze necessarie per il ministero sacerdotale. Ciò che prevaleva in quella casa e che accomunava i suoi membri, era la voglia di rinascere, di lavorare nella Chiesa per il mondo. Oltre a una grande fame di conoscenze, che era andata crescendo formando un buco da colmare, durante gli anni della Desolazione, in cui tutti erano stati sottoposti al potere, estraniati dalla cultura e da un rinfrancarsi dello spirito, visto che i libri erano una rarità nella Germania distrutta e separata dal resto del mondo. Malgrado i bombardamenti, in seminario era riuscita a sopravvivere una biblioteca con i libri di teologia, ma anche i romanzi di Dostoevskji, Mauriac, Claudel, Gertrud von Le Fort. Joseph Ratzinger si appassionò a Steinbùchel, sia ai volumi dedicati alla fondazione filosofica della teologia morale che a “La svolta del pensiero”. Ma soprattutto il suo giudizio fu segnato dal Personalismo, che incontrò nella lettura del grande pensatore ebreo Martin Buber e soprattutto con Agostino in “Confessioni”. Ai teoretici preferiva i teologi di sangue e carne. Con Agostino di Ippona concordava sul fatto che si potesse diventare simili a Cristo non per nascita, ma per conversione interiore.
Decisioni importanti
In seminario c’era un clima famigliare, instaurato grazie anche al rettore, Michael Hock, chiamato da tutti Il Padre. C’era sempre musica e si recitava il teatro. I dormitori disponevano di dieci-quindici letti, non c’era riscaldamento e d’inverno il freddo era quasi insopportabile. La mattina, per lavarsi, bisognava rompere il ghiaccio che ricopriva l’acqua preparata la sera precedente. Prima della conclusione dell’esperienza a Frisinga, Ratzinger indirizzò la richiesta al vescovo per poter proseguire gli studi a Monaco. L’obiettivo era quello di potersi, un giorno, dedicare completamente alla teologia scientifica. Arrivato all’Università si accorse che era quasi tutta un cumulo di macerie, compresa la biblioteca e che c’era quindi poco spazio per dormire, per studiare, per partecipare alle lezioni. Il vitto era scarso perché non si poteva fare affidamento su una propria fattoria, come avveniva invece nel seminario di Frisinga. Ma c’era, per fortuna, un grande parco all’interno del castello, dove spesso il giovane Ratzinger andava a passeggiare, riflettendo e maturando decisioni importanti sulla sua vita. Al contrario di Frisinga, il gruppo di studenti universitari era eterogeneo e l’interesse intellettuale dominava, generando individualismo. La facoltà teologica dovette essere ricostruita di sana pianta, poiché era stata distrutta dai nazisti e le lezioni avvenivano spesso nel giardino, al gelo.
Teologia critica
A Monaco si faceva teologia in maniera “critica ma credente”, affermò Ratzinger nel corso degli anni. Viveva la sua vita di universitario impegnandosi a fondo, trascorrendo le sue giornate perdendosi nelle letture e approfondendo i temi che più lo appassionavano, mentre nel frattempo si teneva in forma girando per la città in sella alla sua amata bicicletta. Finì gli studi a Monaco e poi fu ordinato sacerdote il 29 giugno 1951, in occasione della festa dei santi Pietro e Paolo. Una quarantina di candidati vennero chiamati durante la cerimonia risposero “Adsum”, “Sono qui”. Il 1 agosto 1951 Joseph Ratzinger iniziò il suo primo servizio nella Parrocchia del Preziosissimo Sangue, nel quartiere Bogenhausen di Monaco. Un anno dopo iniziò a intraprendere l’insegnamento nella Scuola superiore di Frisinga e nel 1953 divenne dottore in teologia con la tesi “Popolo e casa di Dio nella dottrina della Chiesa di Sant’Agostino”. Quattro anni dopo, sotto la direzione del celebre professore di teologia fondamentale Gottlieb Söhngen, ottenne l’abilitazione all’insegnamento con una dissertazione su: “La teologia della storia di San Bonaventura”. Lo snodo fondamentale nella biografia umana e intellettuale del futuro Benedetto XVI, avverrà tra il 1962 e il 1965: il lavoro svolto a Roma al Concilio Vaticano II.
Opera omnia
“Dopo gli intensissimi studi negli Anni 50, il Concilio significò la sua proiezione internazionale”, evidenzia lo storico del cristianesimo Giovanni Maria Vian, direttore emerito dell’Osservatore Romano. Per approfondire il “Ratzinger figlio del Vaticano II” è prezioso il volume della Libreria Editrice Vaticana “L’insegnamento del Concilio Vaticano II”, tomo 1 del volume 7 dell’Opera Omnia di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. “Il volume 7 dell’Opera omnia di Joseph Ratzinger raccoglie i testi da lui dedicati al Concilio Vaticano II, suddividendoli in due parti”, osserva il professor Pierluca Azzaro, traduttore e curatore dell’edizione italiana dell’Opera Omnia. La prima, corrispondente al primo tomo del volume, raccoglie quanto scritto da Joseph Ratzinger fra l’annuncio del Concilio, il 25 gennaio 1959, e i primi anni successivi alla sua chiusura, il 7 dicembre 1965, passando per tutto quanto da lui prodotto durante il Concilio: sia come perito conciliare e membro di diverse commissioni, sia come consigliere del cardinale Joseph Frings che egli, ancora da Papa, definirà “un padre”. Proprio sulla base della profonda amicizia e della consuetudine sviluppatasi tra il giovane teologo e l’anziano arcivescovo di Colonia, l’ultima parte del primo tomo del volume 7 raccoglie tutti gli scritti di Joseph Ratzinger in onore del cardinale Frings. Il secondo tomo è invece dedicato alla ricezione e all’ermeneutica del Concilio, sino alla vigilia della elezione di Ratzinger al Soglio di Pietro.
Protagonisti e temi
Si nota come il giovane Ratzinger invita il lettore a rivivere e ripercorrere insieme a lui tutta intera la sua straordinaria avventura al Concilio: dal momento della preparazione della valigia, all’arrivo a Roma, dalla grande celebrazione di apertura a quella di chiusura. Puntualizza Azzaro: “E’ come se il giovane perito ci facesse entrare insieme a lui nell’Aula conciliare, per percepire le attese e le speranze ma anche le “segrete preoccupazioni” che insieme a lui pervadono anche i Padri e che fanno le differenti “atmosfere” al Concilio nelle sue diverse fasi”. Quello del 35enne Ratzinger è già allora un linguaggio immediatamente accessibile, pieno di immagini ed episodi, avvincente e profondo. Il futuro Benedetto XVI non solo descrive protagonisti e temi dell’avvenimento di grande portata storica del quale è testimone ma del quale compie concretamente anche la Storia. Il suo è, sin dall’inizio, un linguaggio “vivo” per così dire, per tutti, e questo proprio perché “è l’uomo di oggi nella realtà del suo mondo, così come esso è il suo costante punto di riferimento, perché è proporre in positivo la fede quello che sta sempre al centro dei suoi pensieri: meditare ed esprimere il Vangelo di Cristo in un modo comprensibile all’uomo di oggi, per fargli di nuovo comprendere Cristo nella sua attualità: questo significa, per lui, l’”aggiornamento”.
Timoroso rifiuto
Complesse e delicate le questioni teologiche che il futuro pontefice tratta nelle varie fasi del Concilio, i documenti conciliari che egli contribuisce a stendere in quegli anni. E molte innovazioni. “Bisogna continuare a contrapporsi al nuovo che ovunque si desta, col rischio, tuttavia, insieme alla zizzania, di sradicare anche il grano oppure tentare “di uscire dalla difensiva e di divenire cristianamente offesivi, di pensare e agire in positivo?”, il suo primo interrogativo. E poi: “Occorre mantenere la linea della chiusura, della condanna, della difesa che giunge quasi al timoroso rifiuto”, oppure “la Chiesa, dopo avere operato la necessaria demarcazione, vuole aprire una pagina nuova, entrando in un dialogo positivo con le sue origini, con i suoi fratelli, con il mondo di oggi”?, chiederà ai suoi studenti nel gennaio del 1963. Tanti anni dopo, a quei teologi “progressisti” che lo accuseranno di “pentitismo”, Ratzinger risponderà sempre allo stesso modo: “Non sono cambiato io, sono cambiati loro”. Anche il professor Vian richiama l’attenzione sul ruolo di “consigliere teologico dell’ala progressista” svolto da Joseph Ratzinger al Concilio sotto l’ala dell’influente cardinale tedesco Joseph Frings. “Con il linguaggio odierno diremmo che al Vaticano II è stato dato uno dei principali sherpa”, puntualizza il direttore emerito dell’Osservatore Romano.
Dietro le quinte
Ratzinger ha lavorato molto e bene dietro le quinte, tanto da ottenere il riconoscimento di Yves Marie-Joseph Congar, insigne teologo e poi cardinale francese che insieme a Jean Daniélou e Henri de Lubac fu uno dei precursori della nuova teologia. Nel suo diario pubblicato postumo ma con pagine scritte all’epoca del Concilio, Congar attribuisce al giovane collega bavarese un’incidenza notevole nei lavori conciliari. E lo stesso Ratzinger considererà sempre l’esperienza al Concilio come uno dei grandi avvenimenti della sua vita, definendolo provvidenziale. C’è un risvolto meno conosciuto della personalità di Benedetto XVI che gli riconobbe il ruolo, fin dagli anni Ottanta, di uno dei protagonisti della geopolitica della Santa Sede. “Ho sempre ammirato la lucidità e la sensibilità con cui l’allora prefetto della congregazione per la dottrina della fede riusciva a focalizzare perfettamente le questioni internazionali e che Giovanni Paolo II teneva in altissima considerazione, oltre che in merito agli interventi sulle specifiche questioni teologiche in cui è stato maestro insuperabile e voce di massima auctoritas, anche alle sue considerazioni personali su quanto accadeva nello scacchiere mondiale”, ha più volte rievocato il cardinale Achille Silvestrini, ministero degli esteri vaticano durante la prima parte del pontificato di Karol Wojtyla. Un’attenzione e una finezza di valutazione delle dinamiche mondiali confermate fino ai più recenti colloqui dal professor Vian: “fedele alla lezione conciliare, Joseph Ratzinger ha sempre rispettato la distinzione tra il piano temporale e quello religioso, da intellettuale e uomo di intensa spiritualità ha attraversato con spirito critico e sguardo lungimirante i principali eventi storici del ventesimo secolo. Con particolare attenzione alla caduta del Muro di Berlino nel 1989 e la riunificazione della Germania”.
Pensiero e azione
Da uomo di azione e di pensiero Benedetto XVI ha scritto fondamentali encicliche e ha pubblicato il Gesù di Nazareth in più volumi, per mostrare che la fede non è un elenco di proibizioni ma un rapporto di amicizia con il Dio fatto uomo. Ha posto i temi della povertà e dell'Africa, dei giovani, dell'ecumenismo e dell'annuncio della fede al mondo secolarizzato al centro del proprio regno. Ha lottato energicamente contro gli abusi sessuali del clero, imponendo una inversione di rotta nella coscienza, nelle norme e negli atteggiamenti della Chiesa nei confronti dei preti pedofili. Ma per capire effettivamente come Joseph Ratzinger abbia strutturato nell’arco dei decenni la sua personalità ecclesiale e intellettuale è utile fare ciò che si fa di fronte ad un’opera maestosa: tenere la giusta distanza per osservarla nella sua compiutezza e poi scomporla osservandola minuziosamente pezzo per pezzo.