Alla ricerca della “colonna fantasma” di Venezia: presto un’indagine tomografica per cercare il manufatto perduto

Un vuoto di pochi metri quello tra le colonne di San Todaro e del Leone alato, in Piazza San Marco. La giusta misura, però, che avrebbe consentito la presenza di una terza colonna, portata assieme alle altre da Costantinopoli, addirittura nel 1172. Chissà cosa successe: forse una manovra troppo azzardata, magari la rottura di una fune o di un sostegno. Fatto sta che, a ridosso del molo di Venezia, una delle “tre sorelle” cadde in acqua, inabissandosi sul fondo della laguna, assieme allo scafo sul quale era caricato, per i successivi 9 secoli, ed entrando pian piano nei confini della leggenda.

Un lasso di tempo lunghissimo quello intercorso dall’accaduto a oggi: eppure, dopo 900 anni, c’è chi ha tentato di andare a fondo della storia, inoltrandosi sempre più nel passato della Serenissima e giungendo alla conclusione di volerne finalmente scrivere il finale. La persona in questione è Roberto Padoan, subacqueo dalla lunghissima esperienza, il quale, a seguito di incontri, discussioni e tavoli di lavoro susseguitisi nell’arco di diversi mesi, ha ottenuto il consenso della Soprintendenza della città lagunare per svolgere un’indagine non invasiva nel tratto d’acqua compreso tra la Biblioteca Marciana e il Ponte della Paglia. L’impresa verrà supportata dalle società Icorest srl e Morgan sas.

La ricerca della colonna fantasma, dunque, avverrà davvero. O meglio, non appena il Comune di Venezia, il quale ha mostrato un certo interesse per l’operazione, avrà dato il via libera. Del resto, se c’è qualcosa di certo, è che il capitano Jacopo Orseolo Falier, comandante della nave proveniente dal Mar Nero che attraccò con le due colonne, dono per l’allora doge Sebastiano Ziani, ne stesse effettivamente trasportando tre. Per questo la controversia sulla presenza o meno del pezzo mancante in fondo alla laguna ha da sempre appassionato i veneziani convinti, come Padoan, che sia ancora lì, in attesa di tornare al suo posto.

L’indagine tomografica avverrà inizialmente tramite l’apposizione di 20 sensori elettrici tra le pietre (i masegni), grazie ai quali sarà possibile capire se la colonna ci sia o meno. A sostegno della prima tesi, ci sarebbe la stessa costituzione del fondale, composto non da fango ma da un materiale argilloso, perfetto per la conservazione subacquea del manufatto (pesante 50 tonnellate): “Se ci fosse il fango – ha spiegato il capo-ricerche – sarebbe sprofondata e sarebbe impossibile recuperarla, ma di fronte al molo di San Marco c’è il caranto”. A dirla tutta, un primo tentativo di scandagliamento del fondale venne fatto circa venti anni dopo l’incidente, per mezzo di una pertica. Non si trovò nulla ma oggi potrebbe essere diverso: d’altronde, la tecnologia odierna vanta diverse centinaia d’anni di progressi.

Per il momento, la questione riguarderà esclusivamente l’individuazione della colonna: se fosse davvero lì, a non più di 10 metri dalla superficie, come sostenuto da Padoan, si tratterebbe di un ritrovamento sensazionale. A ogni modo, come riportato dal quotidiano “La Nuova Venezia”, in laguna già si parla di un’eventuale operazione di recupero, la quale sarebbe costosa ed estremamente complicata, oggi come lo fu allora. In attesa di aprire le porte su altri affascinanti progetti, non resta che sperare che la missione abbia successo. E riempire finalmente un vuoto quasi millenario, estetico ma, in un certo senso, anche identitario.