Ai Musei Vaticani i “modelli” del Bernini, regista del barocco

Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) si potrebbe considerare il regista del barocco romano, nonchè lo scenografo, insieme a Michelangelo Buonarroti, dell’attuale basilica di San Pietro, dal colonnato che incornicia il sagrato, al baldacchino che sormonta l’altare papale, fino alla “Gloria della Cattedra”. Tesori di pietra e bronzo che testimoniano un glorioso passato, incantando, oggi come quattro secoli fa, pellegrini e visitatori che ogni giorno si recano in San Pietro. Osservando tali capolavori viene spontaneo domandarsi in che modo lavorava Bernini. Un quesito al quale i Musei Vaticani danno risposta con l’esposizione, presso le sale della Pinacoteca, intitolata “Gian Lorenzo Bernini e i suoi modelli”.

Fino al 26 febbraio 2017, infatti, dopo un lungo e delicato intervento di restauro, nella prestigiosa Sala XII della Pinacoteca Vaticana è possibile ammirare i modelli in terra cruda e paglia, appartenenti alla Fabbrica di San Pietro e in deposito presso I Musei Vaticani dal 1980, realizzati dal genio di Bernini e dai suoi collaboratori, per gli altari della Cattedra e del Ss. Sacramento della basilica vaticana.

Quattro angeli (due più grandi e due più piccoli) e le teste dei Padri della Chiesa sono i modelli per la fusione di alcune statue bronzee che costituiscono l’Altare della Cattedra, monumento posto nell’abside della basilica di San Pietro. L’opera, realizzata in stucco e bronzo dorato, fu realizzato da Giovan Lorenzo Bernini fra il 1656 e il 1666 per volere di Papa Alessandro VII Chigi, con l’intento di ribadire il primato del pontefice romano e al fine di custodire la veneratissima reliquia della Cattedra in legno e avorio su cui, secondo la tradizione medioevale, San Pietro sedeva per istruire i primi cristiani.

Vi è poi l’angelo inginocchiato, modello, questo, per la fusione di una delle sculture in bronzo dell’Altare del Ss. Sacramento. Già nel 1629 Urbano VIII Barberini aveva ordinato al Bernini un progetto per un altare in San Pietro dedicato al Ss Sacramento. Il Papa che commissionò l’opera non ebbe mai, però, la gioia di ammirarla. La lunga fase progettuale, che vide diverse redazioni, si concluse, infatti, solo nel 1673 sotto Papa Clemente X Altieri con la realizzazione di un altare costituito da un tabernacolo fiancheggiato da due angeli inginocchiati e adoranti.

Durante il restauro, eseguito sotto la supervisione di Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani, e diretto da Arnold Nesselrath, Delegato per il Dipartimento Scientifico ed i laboratori, ci si è accorti che questi modelli conservano ancora, sulle loro superfici, numerosi segni di lavorazione, oltre alle preziosissime impronte digitali del grande artista
e dei suoi collaboratori. Si distinguono, inoltre, alcune profonde fessurazioni da attribuire, per una buona parte, al naturale ritiro della creta. La “spolveratura preliminare”, effettuata sulle opere, ha poi reso evidenti numerose stuccature e ricostruzioni di parti mancanti in gesso, realizzate in precedenti interventi, poi abilmente mascherati con vernici colorate, stese anche a coprire le superfici originali.

Inoltre è stato riscontrato l’impiego di chiodi moderni inseriti nelle porzioni del modellato per assicurare i frammenti più voluminosi. L’individuazione di “particolari” depositi polverosi ha reso evidente che alcuni dei materiali costituenti le opere, quali il legno e la paglia, sono stati invece  compromessi da un attacco di insetti. Prima del restauro, quindi, è stato necessario sottoporre gli angeli a un trattamento di disinfestazione.

I depositi polverosi e lo strato di sporco che nel tempo hanno ingrigito le superfici sono stati rimossi mediante l’impiego di gomme speciali di diversa consistenza e composizione; le vernici e le altre sostanze presenti in superficie dovute a precedenti interventi di restauro sono state rimosse tramite impacchi di solventi ponderati. Gli elementi strutturali in ferro, quando corrosi, sono stati sottoposti a pulitura e stabilizzati tramite sostanze che ne rallentano il degrado.

 

La maggior parte dei consolidamenti, delle ri-adesioni e ricostruzioni strutturali, è stata realizzata mediante un impasto a base di cellulosa, formulato appositamente per il restauro di queste opere e con le seguenti caratteristiche: semplicità nell’applicazione e lavorazione, leggerezza, massima reversibilità e soprattutto assenza di solventi acquosi e untuosità. Con strumentazioni odontotecniche sono state eseguite numerose micro-riadesioni; soltanto in presenza di situazioni caratterizzate da forte disgregazione dell’impasto di creta e paglia, si è ricorso a consolidamenti in profondità tramite applicazione meccanica di sostanze consolidanti.

Inoltre, al fine di ripristinare gran parte delle superfici originali, e favorire la conservazione nel tempo delle opere, si è resa indispensabile la rimozione dei rifacimenti realizzati in gesso che contribuivano in maniera importante al degrado delle opere. I nuovi interventi d’integrazione strutturale sono stati realizzati con un impasto formulato appositamente per questo restauro. Le superfici a vista di tali ricostruzioni sono state ultimate in maniera mimetica, con l’uso di colori ad acquerello applicati con la tecnica del puntinato, quale metodo che ne permette l’immediato riconoscimento a distanza ravvicinata.

Nella sala, inoltre, sono esposti i “bozzetti” beniniani appartenuti alle collezioni del cardinale Flavio I Chigi, nipote di Papa Alessandro VII raffiguranti “La Carità con quattro putti”, “La Carità con due putti”, “Putto alato con tiara”, “La Verità”, “Daniele nella fossa dei leoni”, “Abacuc e l’angelo”, “Apostolo o Profeta che legge un libro”. Trasmessi per via ereditaria, la serie delle terrecotte rimase nella biblioteca storica del palazzo anche dopo la vendita di questo allo Stato Italiano, avvenuta nel 1917. Nel 1923, Benito Mussolini donò a Pio XI l’intera raccolta di libri. Negli anni che seguirono, le opere d’arte raggiunsero la Biblioteca Apostolica Vaticana per trovarvi una sistemazione permanente. Dal 1999, per rescritto pontificio, le statuine (assieme alle opere d’arte e agli ambienti già di pertinenza dei Musei della Biblioteca) sono state trasferite alla competenza dei Musei Vaticani.