Jakelin, morta a 7 anni sulla frontiera: “Fu un batterio”

Si inizia a far luce sul mistero di Jakelin Caal Maquin, la bimba di 7 anni morta il 7 dicembre scorso dopo aver varcato la frontiera con gli Stati Uniti ed essere stata presa in custodia dagli agenti di frontiera americani. La piccola, proveniente dal Guatemala, secondo quanto rivelato dall'autopsia sarebbe morta per un'infezione batterica, la sepsi da streptococco. Secondo le analisi svolte da un ambulatorio medico di El Paso, in Texas, il batterio sarebbe stato rinvenuto nei polmoni, nel fegato e nella milza, oltre che in alcune ghiandole nei pressi dei reni, segno evidente, secondo i medici, di un'infezione “rapidamente progressiva”, tale da provocare una “disfunzione multiorgano” e, infine, la morte. Una versione che spiega le cause della tragica scomparsa della bimba, arrivata al confine tra Messico e Stati Uniti solo due giorni prima.

Il caso Jakelin

Il riscontro dell'autopsia, però, non ha convinto del tutto i familiari della bambina che, attraverso gli uffici legali di Lynn Coyle, hanno fatto sapere che richiederanno un'ulteriore indagine indipendente sulla morte della bambina: “Mentre il rapporto fa luce sulla causa della morte di Jakelin, lascia comunque molte domande che richiedono un'ulteriore revisione. I risultati – precisano dallo studio legale – del rapporto suggeriscono che le possibilità di sopravvivenza di Jakelin sarebbero migliorate con un precedente intervento medico: come richiesto nel dicembre dello scorso anno, la famiglia cerca un'indagine indipendente approfondita su questo argomento per capire perché l'intervento medico è stato ritardato”.

Le ipotesi

L'intento dei familiari è capire dove e quando Jakelin abbia contratto l'infezione. Gli agenti di frontiera del Cbp, hanno spiegato alla Cnn che per la piccola fu fatto tutto il possibile e che alcuni degli addetti alla vigilanza aveva già rianimato la bimba prima che la portassero in ospedale con un'ambulanza. Al tempo stesso, secondo quanto testimoniato dal padre di Jakelin, da valutare ci sarebbe anche il comportamento delle guardie di frontiera di Antelope Wells, dove lui, sua figlia e altri 163 migranti erano stati trasportati prima di essere accompagnati a una stazione di pattuglia di frontiera. Secondo la testimonianza, ad Antelope Wells non erano stati forniti né cibo né acqua per i migranti. Un'accusa che, per la Cbp, è del tutto infondata poiché i migranti “avevano accesso a cibo, acqua e servizi igienici”.