Il testamento spirituale di Nadia

Ètutta vita”: una frase concisa, asciutta come era lei. Quando ha appreso della sua malattia, la conduttrice televisiva Nadia Toffa, morta di cancro nella notte del 13 agosto, ha preso la vita di petto, come sempre ha fatto nelle inchieste condotte per Le Iene e ha trasformato il momento più buio della sua vita in una feritoia di luce. Lo dimostra la folla che, questa mattina, ha gremito il Duomo di Brescia per le esequie della conduttrice televisiva. Tante le persone giunte anche dalla Puglia. Il feretro è stato accolto dal parroco di Caivano (Napoli), don Maurizio Patriciello, simbolo della lotta nella Terra dei Fuochi, causa a cui Nadia Toffa era totalmente devota per ottenere giustizia. Come ha, appunto, ricordato don Maurizio nell'omelia, “Nadia era dalla parte dei deboli. Come Gesù è stata amata e odiata. Pagheremo la voglia di giustizia e verità come ha fatto Nadia, amata per la sua sete di verità. Hai saputo fare del tuo lavoro una missione”.

Il Signore non è cattivo

“Nessuno vuole il cancro” ha ribadito Nadia Toffa. Il cancro resta una malattia terribile. Ma per la conduttrice non può avere l'ultima parola, che spetta, invece, alla vita: “Bisogna imparare dalla vita. Il Signore non è cattivo. Ci mette di fronte a sfide che possiamo affrontare”. La saggezza che traspare nell'ultima intervista che la conduttrice ha rilasciato a Silvia Toffanin di Verissimo può essere considerata, a tutti gli effetti, il suo testamento spirituale. “All'inizio mi chiedevo: 'Perché proprio a me?'”. Nadia Toffa non nasconde il dolore che accompagna apprendere di essere affetti da una neoplasia in stadio avanzato: “Hai paura di morire, questa è la verità” ha detto. Eppure, dopo pianti e riflessioni, dentro di sè ha maturato la consapevolezza della gratitudine del tempo presente: “Poi mi sono detta: perché non a me? Ci sono bambini che muoiono al primo mese di vita. Pensa a quei genitori”. Una dichiarazione spiazzante, a tratti inconcepibile, frutto di una profonda maturità, intrecciata da una fede coriacea, come il suo carattere: “Il Signore non ci vuol veder soffrire. Io ci credo in Dio e non penso sia cattivo. Non è così. Ci stimola per farci imparare, per essere delle persone migliori”. Quando lei stessa, subito dopo, dichiara “Io me lo devo portare il mio fardello. Il Signore mi ha dato un fardello che forse non potrò vincere… ma ce la metterò tutta” viene alla mente la Prima lettera di San Paolo ai Corinzi (10:13): “Nessuna tentazione vi ha finora colti se non umana, or Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d'uscita, affinché la possiate sostenere”.

Amore per la Verità

“Amiamo la vita, rispettiamola. È preziosa”. Nadia Toffa invita ad amare sempre la Verità. Verità significa ammettere che una malattia, per quanto drammatica sia, possa essere considerata un dono. Non un dono fine a sé stesso: Nadia stessa, contro ogni fraintendimento, ha sempre voluto sottolineare come questo voglia dire soltanto una cosa: prendere l'opportunità del tempo presente, scrutarne il barlume d'eternità che esso porta con sé. Solo così la malattia, e la morte di cui è foriera, non avrà l'ultima parola. L'avrà, invece, la vita. Quella che continua a trasparire dalla bara lucente abbacinata da un sole d'agosto bresciano, la stessa che si riflette nelle lacrime di quanti le hanno voluto dare l'ultimo saluto. D'altronde, come lei stessa scriveva nel suo libro Fiorire d'inverno: “La malattia mi restituisce pezzi interi di infanzia, le carezze, l'abbandono, l'affidamento”.