Caporalato: sequestrati 9 mln a indagato

Sequestro ai danni dell'imprenditore accusato di aver evaso tasse e sfruttato lavoratori alla Città del Libro di Stradella. I militari della Guardia di Finanza di Pavia hanno sequestrato sette società e 154 immobili a un imprenditore di 63 anni, a capo di una società milanese, che è sotto processo davanti al Tribunale di Pavia perché ritenuto la mente di un'associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale e al reclutamento e allo sfruttamento di centinaia di lavoratori impiegati alla Città del libro di Stradella (Pavia). L'arresto, che aveva coinvolto altre undici persone era scattato a luglio 2018, quando gli stessi finanzieri avevano scoperto il giro di evasione e caporalato tra i circa trecento “operai” della ditta lombarda. 

Città del libro

La spedizione delle novità e dei rifornimenti, così come la gestione delle rese, si svolge presso la “Città del Libro” di Stradella, uno dei più grandi poli logistici multi-cliente dedicati all’editoria in Europa, dove è anche concentrato tutto lo stock di molti editori distribuiti per i quali viene svolto il servizio completo di stoccaggio e distribuzione a tutti i canali extra-libreria.

Sequestro beni

Il sequestro ha un valore di 9 milioni e 243 mila euro, è stato disposto dal Tribunale pavese su richiesta del pm Paolo Mazza ed eseguito dalla Guardia di Finanza su numerosi immobili a Milano, sul lago di Garda, al Sestriere e in Costa Smeralda. 

Le società, invece, erano finite quasi tutte all'estero: tre aziende – una delle quali deteneva una percentuale di una società immobiliare monzese – sono infatti state bloccate nel Regno Unito. E quelle che non erano “volate” fuori Italia, il 63enne le aveva intestate – spiega sempre la finanza – “a una insospettabile impiegata lodigiana”. 

Un’altra società immobiliare – chiariscono ancora i militari – era stata creata a dicembre del 2017, subito dopo i primi interventi dei finanzieri alla Città del libro. La società, con un patrimonio immobiliare di alcuni milioni di euro era poi stata venduta ad alcuni parenti stretti dell'imprenditore con un pagamento, evidentemente simbolico, di poco più di mille euro.