Le carni che possono ucciderci

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Una ricetta particolare di Apicio, vissuto tra il 25 a.C. e il 37 d.C., era quella di cuocerla prima in acqua, poi nel latte, nell’olio e infine in una salsa speziata. Dai tempi dei tempi, dunque, la carne è un alimento che sulle tavole imbandite fa la sua figura. Le sue proprietà sono state decantate anche dalla tradizione popolare moderna (“Mangia la carne che cresci”, è una delle frasi ricorrenti nelle famiglie italiane del dopoguerra); tutto ciò fino all’avvento della dietologia, che ha analizzato i cibi in maniera scientifica.

La carne, quindi, ha iniziato a essere messa in discussione: le proteine, infatti, pur essenziali, possono essere assunte da altri alimenti, e il “mito” della bistecca ha iniziato a vacillare.
Ora sembra arrivato il momento del colpo finale: carni in scatola, hot dogs e prosciutto sono alcuni esempi di alimenti di origine animali trattati, considerati cancerogene per l’uomo dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). “Probabilmente cancerogene” sono invece le carni rosse: questa categoria, spiega l’Oms, ”si riferisce a tutti i tipi di carne di muscolo di mammifero, come ad esempio manzo, vitello, maiale, agnello, montone, cavallo e capra”.

Quelle lavorate, spiega l’Oms, includono i prodotti che sono stati trasformati ”attraverso processi di salatura, polimerizzazione fermentazione, affumicatura, o sottoposte ad altri processi per aumentare il sapore o migliorare la conservazione”. La maggior parte contiene maiale o manzo, ma possono anche includere altri tipi di carni rosse, pollame, frattaglie o prodotti derivati come il sangue.

Le carni trattate o lavorate sono dunque quelle indicate come più pericolose per l’uomo, essendo state inserite dall’Oms nel gruppo 1 per rischio cancerogeno. ”Per un individuo – spiega Kurt Straif, a capo del Programma monografie dello Iarc – il rischio di sviluppare il cancro del colon-retto a causa del consumo di carne trattata resta piccolo, ma tale rischio aumenta con la quantità di carne consumata”.

Gli esperti dello Iarc hanno considerato più di 800 studi che hanno investigato sull’associazione tra oltre una dozzina di tipi di cancro ed il consumo di carne rossa o trattata in vari Paesi e popolazioni con regimi alimentari differenti. I risultati, sottolinea il direttore dello Iarc Christopher Wild, ”supportano ulteriormente le attuali raccomandazioni di salute pubblica che invitano a limitare il consumo di carne”. Allo stesso tempo però, rileva, ”la carne rossa ha un valore nutrizionale”. L’invito alle autorità e alle agenzie regolatorie è quindi quello di ”bilanciare i rischi e benefici del consumo di carni rosse o trattate” e di ”fornire le migliori raccomandazioni alimentari possibili”.

Per Carmine Pinto, presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), la decisione della International Agency for Research on Cancer (Iarc) dell’Oms di inserire carni lavorate e carni rosse nella lista delle sostanze cancerogene è ”un invito a tornare alla dieta mediterranea. La Iarc conferma dati che conoscevamo da tempo – spiega Pinto – ovvero che la presenza di conservanti o di prodotti di combustione in questi alimenti è legata ad alcuni tipi di tumore. Per quanto riguarda le carni rosse è una questione di modalità e di quantità, non esiste una ‘soglia di esposizione’ oltre la quale ci si ammala sicuramente. Il messaggio che dobbiamo dare è che la carne rossa va consumata nella dovuta modalità, una o due volte a settimana al massimo. Il messaggio principale è invece un invito a tornare alla dieta mediterranea, che ha dimostrato invece di poter diminuire il rischio di tumore”.

Secondo uno studio Aiom il 9% degli italiani nel 2010 mangiava carne rossa o insaccati tutti i giorni, il 56% 3-4 volte a settimana. Per il ministero della Salute il cancro del colon-retto, quello di cui si è trovata la maggiore associazione con il consumo di carne lavorata, è in assoluto il tumore a maggiore insorgenza nella popolazione italiana, con quasi 55.000 diagnosi stimate per il 2013.

Detto questo, e sottolineando come gli allarmi lanciati dallOms vadano presi in seria considerazione, non possiamo però non notare come ciclicamente si attivino meccanismo mondiali di comunicazione che colpiscono un determinato settore, senza poi però cambiare radicalmente la mentalità generale, ma producendo al momento gravi scompensi economici. Accadde con il pesce “al mercurio”, con l’aviaria e il relativo decremento del consumo di pollame (dunque carne bianca), la “mucca pazza” sempre riferita al bovino, la diossina nei latticini, ecc. Allarmi contingenti, spesso legati a fatti di cronaca locali gestiti – come comunicazione – al pari di una pandemia. La salute va tutelata dunque, e ci mancherebbe. Ma attenzione al terrorismo alimentare: mangiare carne non porta tout court alla morte… a meno che non vada un boccone di traverso.