La maledizione degli sciamani

Tre personaggi della Bibbia – oltre tutti i falsi profeti, ecc. – rientrano, per rilievo di descrizione, nel quadro dello sciamanesimo, precisando che questo non ha una sua propria configurazione religiosa, essendo legato alle più varie concezioni. I tre personaggi sono Balaam “uomo dall’occhio penetrante” (Nm 24,3), la negromante di Endor (1Sm 28,7) e la schiava di Filippi (At 16,16).

Il fenomeno

La sostanza dello sciamanesimo è accedere ad una comunicazione con entità superiori, ultraterrene, per averne benefici. Il termine sciamano è un termine usato in Siberia e in Asia centrale. Ha origini lontane nel cinese shamen, per poi trovarsi nel sanscrito srāmana, nel tunguso šamān, e quindi nel russo šaman. Il significato è letteralmente: “Uno che vede nel buio”, cioè là dove altri non vedono. Questo termine è entrato nel XVII secolo nella cultura russa ed europea, ma non è l’unico poiché tanti sono i nomi che lo designano nelle varie culture, in quanto lo sciamanesimo è ritrovabile quasi ovunque nel mondo, comprendendo anche le fenomenologie dello spiritismo.

La scelta

Lo sciamanesimo non è una pura realtà spontanea prevedendo la scelta di ragazzi che mostrano di avere dei segni considerati validi per l’accesso allo stato sciamanico (atteggiamento molto solitario, segni di malattia, sogni frequenti, stati di assenza, momenti convulsivi, e tanti altri particolari veramente irrilevanti). Sono giovani in età puberale (11-16 anni), che vengono valutati da uno sciamano esperto, che fa loro delle domande di indagine. Se il soggetto non dà i risultati sperati viene scartato, altrimenti si passa all’iniziazione vera e propria che prevede un’istruzione da parte di uno sciamano, a cui si accompagna l’istruzione degli spiriti. Il percorso termina con il riconoscimento pubblico da parte del clan, che a lui si riferirà. Può essere anche che una persona, senza ipotetiche qualità, desideri l’iniziazione allo sciamanesimo, e con ciò dovrà fare il percorso di iniziazione con uno sciamano esperto e con gli spiriti, ma il suo potere è giudicato minore. Nelle varie tappe, non è mai estranea la volontà del soggetto. Egli deve decidere se rivoltare la sua vita destrutturando se stesso per assumere la configurazione sciamanica, accettando di isolarsi in un mondo segreto. Si può dare il caso che il soggetto acconsenta senza veramente volerlo, mirando ai benefici economici che il clan gli garantirà, ma poi dovrà coinvolgersi se vorrà l’intervento degli spiriti. I segni premonitori sono, in connessione con un clan. Precisamente si fa riferimento all’antenato primordiale, che è il primo iniziatore sciamanico della comunità. Gli antenati prossimi vengono considerati, ma come partecipi dei poteri del mitico antenato primordiale.

Il rapporto col cristianesimo

Ci si domanda quale sia la condizione dello sciamano davanti a Dio. Lo sciamano può essere in buona fede e così, anche se gli spiriti lo incalzano, può rimanere in una onestà, che è soggettiva. Può convertirsi, ma dovrà affrontare le vendette degli spiriti. Gli esorcismi che nella chiesa primitiva si facevano nella preparazione al battesimo degli adulti erano rivolti proprio a questo. Ci possiamo domandare se un bambino 10/11 anni possa essere attaccato dal demonio tanto da avere dei cosiddetti segni di medianità. Di segni ereditari sciamanici, non se ne deve neppure parlare – non c’è nessuna ereditarietà -, ma di insidie del diavolo sì. Santa Maria Maddalena Martinengo da piccolina veniva attaccata simultaneamente da numerosi vermi spuntati là dove non dovevano essercene. San Pio a cinque anni vedeva nel buio della stanza occhi di demoni che cercavano di spaventarlo.

Ereditarietà

Un’attenzione va fatta sulla concezione sciamanica dell’ereditarietà, poiché tale concezione si sta affacciando in terra cristiana. Questo l’assunto: i segni di medianità – intesi come insidie del demonio – che un bambino può avere, sono la conseguenza della trasmissione di una maledizione paterna o materna. Ora, questo proprio non può essere, perché la maledizione dopo la morte del maledicente cade per il fatto che il soggetto è stato giudicato e condannato da Dio. Una maledizione deve essere accompagnata da uno stato permanente di odio, ma colui che è stato giudicato e condannato da Dio, ha sì odio, ma non può più influire sul vivente che ha maledetto, poiché risulta, appunto, sotto il giudizio e la condanna di Dio. Altrimenti la maledizione, formerebbe un tagliando dato al demonio da far valere davanti al Signore. La maledizione agisce, ma solo per la paura che essa ha indotto, paura che va superata alla luce della verità, la quale rende liberi (Gv 8,32). Il tagliando dato a Satana perché agisse era l’odio del maledicente consegnatosi al Male. Una volta che il maledicente sia morto, il demonio non ha in mano nessun tagliando da far valere, se non quello di tormentare il dannato nell’inferno.

Balaam

Nella Bibbia, il primo personaggio sciamanico, o più modernamente medianico, è Balaam, un fattucchiere-indovino. Egli agisce riferendosi a Dio, ma in modo da essere contro Dio, poiché vuole condizionare gli spiriti esercitandosi con arti magiche (Nm 23,23) e malefici, come anche in benedizioni inutili e dannose. Balaam sa che Dio può intervenire nei suoi maneggi magici e per questo lo interpella per avere il permesso di agire, ma questo è un suo procedimento fittizio e ingannevole. Il punto importante della narrazione è che Balaam, pur volendo maledire Israele, diventa, suo malgrado, strumento di Dio, benedicendo Israele. Questo ci dice che Dio può far passare il suo volere anche per mezzo di una persona che gli è ostile e si è data alle arti magiche, nelle quali il demonio non manca mai. Questo ci dà la misura della misericordia di Dio che non scarta affatto i gruppi umani legati all’istituzione sciamanica, anche se nelle tenebre e nelle ombre di morte (Lc 1,79).

Endor

La negromante di Endor agisce interpellando i defunti con arti magiche, affinché diano risposte a determinate domande. Anche nello sciamanesimo, oltre che agli spiriti, ci si rivolge ai defunti. Anche in questo caso si vede come Dio possa intervenire direttamente, con la visione di Samuele che sale dalla terra, del tutto imprevista per la negromante, tanto che riconosce da ciò che ha accanto Saul (1Sm 28,12). Il nome con quale viene definita la negromante nel testo ebraico ci suggerisce come poteva avvenire l’azione. Il termine ebraico è ba‘alat-'ôb. E’ un nome composto. Ba‘alat significa signora o padrona e 'ôbè è parola usata in Giobbe (32,19) con il significato di otre. Sembra che otre non c’entri nulla e invece no, perché se consideriamo la traduzione del LXX troviamo che la parola ba‘alat-'ôb è stata tradotta con ἐνγαστρίμυθον (ventriloquo, ma non nel senso che noi diamo allo spettacolo da baraccone). Nella traduzione Vetus latina, viene tradotto con ventriloquus; in Aquila μάγος; nella Volgata, ma con influsso di (At 16,), mulier habens pythonem. Il termine ebraico Obath presente nel “Liber interpretationis hebraicorum nominu, di san Girolamo” viene interpretato come mago o pitonessa, o ἐνγαστρίμυθον. La parola ἐνγαστρίμυθον suggerisce l’idea che la negromante diventasse come un otre dal quale usciva la voce del defunto. Aristofane, nella sua composizione “Le vespe” (v. 1019), dice che un certo Euricle di Atene era un engastrimytos, e vaticinava “per mezzo di un daimon che era dentro di lui”. L’azione divinatoria doveva svolgersi con la presa di possesso della negromante da parte del defunto (che poi era un demonio) così che il morto parlava con labbro della negromante. Certamente si aveva uno stato di trance, appunto trans sciamanico, che poteva anche essere leggero, cioè non rendere il soggetto del tutto avulso dal mondo circostante. L’errore della negromanzia era chiaro: solo Dio ha la sovranità sui defunti. Tentare di scalzare questa sovranità con arti magiche significa trovarsi di fronte al demonio. Così il termine ba‘alat-'ôb significa padrona del ventriloquio, cioè di quell’arte divinatoria.

La schiava

La donna di Filippi si colloca nel quadro oracolare delle pythie di Delfo, quindi diverso dalla negromanzia. Queste non erano descritte con i tratti di donne in stato confusionale, ma che si esprimevano il modo intellegibile. Il loro stato di trance era indubbiamente leggero. Ciò che agiva nella schiava era un’entità divina, indubbiamente sfuggente, ma rientrante nell’ambito del dio Apollo, detto Pythio, per avere ucciso il serpente gigantesco che custodiva l’antro oracolare di Delfi, e con ciò ne era divenuto possessore. Il daimon della schiava di Filippi è chiamato dal testo spirito pythōn. Non si sa come il fenomeno della schiava oracolare era culturalmente integrato nella religiosità di Filippi, ma certo lo era se i padroni della schiava, vedendosi privati di lauti ricavi, riuscirono a mettere in subbuglio i magistrati. Paolo mise allo scoperto lo spirito pythōn esercitando su di esso il potere di esorcismo conferitogli da Cristo: lo spirito pythōn della schiava aveva la precisa identità di un messo di Satana. E’ interessante come i magistrati prima si agitino facendo bastonare Paolo e Sila e mettendoli poi in prigione, e poi cambiarono comportamento volendoli fare semplicemente partire da Filippi (At 17,35s). Il fatto è che la sconfitta dello spirito pythōn era una sconfitta dell’impalcatura pagana; da lì la prima agitazione. La calma che subentrò tra i magistrati fu fuori dubbio dovuta alla volontà di minimizzare la cosa. Il problema non stava nella potenza esorcista di Paolo, ma nel fatto che la schiava era venuta meno ai suoi doveri verso gli dei e aveva perduto lo spirito pythōn. Paolo e Sila capirono la mossa dei magistrati e pretesero pubbliche scuse. Non era offesa personale che Paolo e Sila volevano sanare, ma riportare l’attenzione sui discepoli di Cristo, e sul potere di Cristo, facendo così cadere la presunta defezione della schiava.