Cold case, misteri irrisolti

Quando i media australiani, pochi giorni fa, hanno diffuso la notizia degli scavi in atto in un polo industriale di North Plympton, vicino Adelaide, sembrava davvero che il fuoco della speranza, per un attimo, fosse stato ravvivato. Un fuoco che, ormai da decenni, non era ridotto ad altro che a un cumulo di braci. Sì, perché quando il 27 gennaio 1966, sul lungomare di Glenelg, nel Queensland, i tre fratelli Beaumont (Jane, Arnna e Grant) svanirono letteralmente nel nulla, decretarono l'inizio di un'odissea inifinta per la loro famiglia. Ben 52 anni sono trascorsi da quella scomparsa, duri e difficili per i genitori dei tre bambini, probabilmente rapiti durante il tragitto che, dalla famosa spiaggia, stavano percorrendo per fare ritorno a casa. E, durante questo mezzo secolo di sospetti, false piste e speranze disattese, la scomparsa dei piccoli Beaumont ha via via assunto la connotazione del prototipo di un “cold case”.

La scomparsa

Nel Nuovissimo continente, probabilmente solo il caso della piccola Azaria Chamberlain, nel 1980, ha coinvolto in modo così massiccio l'opinione pubblica: la notizia della sparizione dei tre bambini, nel 1966 come nei decenni successivi, ha destato enorme scalpore facendo in brevissimo tempo il giro dell'isola e, poco dopo, oltrepassando gli ideali confini dell'Oceania. Ma cosa accadde ai piccoli Beaumont? Le tracce dei piccoli, di 9, 7 e 4 anni, si perdono sul litorale di Glenelg, dove furono visti l'ultima volta. All'epoca, le testimonianze furono discordi: qualcuno disse di averli visti rincasare, altri di averli notati mentre si intrattenevano a giocare presso un idrante aperto, altri ancora di aver osservato un uomo avvicinarsi e fermarsi con loro. Di tale persona fu fornito anche un identikit ma, nel corso degli anni seguenti, nonostante i numerosi sospettati nemmeno di lui, descritto come alto, biondo e con un fisico atletico, fu trovata alcuna traccia. Molti elementi, chiari già da allora, hanno avvolarato l'ipotesi del rapimento: i genitori descrissero i ragazzi come molto timidi, per nessun motivo propensi a concedere le proprie confidenze a un estraneo, ragion per cui quell'uomo potrebbero averlo quasi sicuramente conosciuto in precedenza, in un'altra delle loro gite in spiaggia; presso un negozio di alimentari gestito da un conoscente, inoltre, la più grande spese una sterlina per acquistare una torta di carne: al negoziante parve strano perché, conoscendo i bambini, sapeva che non avevano mai comprato nulla del genere e che la mamma non li lasciava mai uscire con troppi soldi (quella mattina avevano con sé solo 6 scellini). L'ultimo avvistamento fu quello di un postino: riferì di averli visti alle 15 ma, probabilmente, sbagliò orario poiché i piccoli erano da soli e avviati sulla strada di casa, come i primi testimoni avevano riferito stessero facendo già alle 12. Da lì più niente: qualche sporadica testimonianza, qualche avvistamento non confermato nei 12 mesi successivi ma nulla di più.

Le missive fasulle

A differenza della tragica vicenda che coinvolse la più piccola della famiglia Chamberlain, il cui destino fu chiaro quasi da subito (la bimba, di appena due mesi, fu rapita e uccisa da un dingo mentre soggiornava alle pendici di Uluru assieme alla sua famiglia, come sempre sostenuto da sua madre ma appurato in modo definitivo solo nel 2012), sui tre fratelli Beaumont vi è la più assoluta incertezza: nessun cenno, mai una pista concreta, solo uno scherzo di pessimo gusto ai genitori, Nancy e Jim, messo in atto due anni dopo la scomparsa da un uomo, allora adolescente: egli scrisse due lettere alla coppia dicendosi disposto a restituire i loro figli e fissando data e luogo dello scambio, al quale i due si presentarono accompagnati da un detective senza però vedere nessuno, né l'uomo né tantomeno i bambini. Una terza lettera, vergata dalla stessa mano (che in un primo momento si ritenne essere quella di Jane, la più grande), li informò che l'agente era stato notato e che i piccoli non sarebbero stati più restituiti. Solo dopo molti anni si riuscì a dichiarare falso il contenuto delle missive.

False piste

Poco dopo la sparizione, arrivò a Glenelg addirittura un parapsicologo neerlandese il quale, pur non fornendo mai indicazioni concrete, destò l'attenzione pubblica tanto da riuscire a far racimolare un'ingente somma per far demolire, nonostante la poca propensione dei genitori ai consigli del sensitivo, un edificio sotto il quale presumeva fossero sepolti i corpi: una pista che, anche in questo caso, si rivelò fallimentare. Da lì, il buio assoluto, niente di niente per oltre mezzo secolo. Dalle prime pagine dei quotidiani, occupate per intero all'indomani della scomparsa, si è in breve passati alle cronache locali, per poi finire in un limbo fatto di attesa, tanto che persino il papà e la mamma, dopo essersi separati, hanno deciso di ritirarsi a vita privata (oggi sarebbero entrambi ultranovantenni), allontanandosi dal clamore mediatico che li aveva accompagnati negli ultimi decenni ma restando fiduciosi che i loro figli possano ancora essere in vita. Il 22 gennaio scorso, quando la notizia degli scavi a North Plympton aveva spinto le testate australiane a riportare nelle loro colonne alte (di quelli che ora sono siti internet) i nomi dei tre bambini, era stata per un attimo cullata la speranza di essere finalmente sulla via giusta per scoprire cosa fosse loro accaduto. L'unica scoperta effettuata, è che sotto quel cumulo di terra, altro non vi erano che ossa di animali. Decisamente nulla di utile per chiudere o quantomeno aggiungere qualcosa al caso Beaumont.

Il caso di Marco Dominici

Un caso, quello australiano, che ricorda un fatto di cronaca che, tragicamente, assume le stesse connotazioni ma avvenuto decisamente più vicino, a Roma. Nel 1970, 4 anni dopo la scomparsa dei fratelli Beaumont, nel quartiere del Quarticciolo Marco Dominici, di soli 7 anni all'epoca, chiede il permesso ai suoi genitori di recarsi al cinema dell'oratorio, poco distante da casa, per vedere un film western: era il 26 aprile, l'ultimo giorno in cui il piccolo fu visto. Quella sera, infatti, Marco non tornò a casa: qualcuno disse di averlo visto al cinema, altri allontanarsi in direzione opposta a quella di casa, altri ancora che alla sala cinematografica nemmeno ci fosse: oltre 1000 testimonianze, tutte inutili, per quello che risulta tuttora un caso irrisolto. Il Quarticciolo, Centocelle e altri quartieri limitrofi vennero battuti metro per metro nel corso degli anni, senza trovare alcuna traccia del bambino: solo una persona fu incriminata, un uomo mentalmente instabile che, anni dopo, verrà però assolto per insufficienza di prove. Nel 1977, fra i ruderi del Forte Prenestino (allora in abbandono) furono rinvenute alcune piccole ossa, le scarpe e parte dei vestitini di Marco: in molti furono propensi a credere che si trattasse dei resti del bambino anche se, stranamente, nessuno aveva finora pensato a guardare nel Forte, pur così vicino al luogo della scomparsa. Su quelle ossa, però, nessun test del dna è stato finora effettuato, lasciando più di un dubbio sul fatto che si tratti proprio di Marco.