Alle origini della reincarnazione

La morte interroga da sempre il genere umano, diviso tra coloro che nutrono la speranza che la vita non si esaurisca esalato l’ultimo respiro e quanti disperano che possa esserci altro al di là dell’oblio. La domanda se esista o meno qualcosa dopo la fine, ha accompagnato il cammino dell’uomo dall’antichità ai giorni nostri interrogando filosofi e profeti, maghi e scienziati.

Una delle credenze riguardanti questo argomento è la reincarnazione, tradizione antichissima anteriore al messaggio della resurrezione cristiana e ancora oggi presente sia in alcune religioni orientali, sia nelle correnti neopagane contemporanee. Nelle diverse culture viene spesso chiamata col sinonimo di metempsicosi (dal greco, “metá” nel senso di “passaggio”, e “empsychóo” “io animo”), che indica la trasmigrazione dell’anima attraverso vari corpi di esseri viventi – non solo umani ma anche animali e vegetali – fino a quando non si sarà purificata e liberata dai desideri materiali.

Nell’induismo – credo tra i più antichi al mondo che si ritiene possa essersi diffusa nella valle dell’Indo a partire dal 2500 a.C. – la reincarnazione gioca un ruolo fondamentale. L’intera realtà è soggetta a corsi e ricorsi perpetui: il cosmo è sottoposto a periodi (“yuga”) detti di creazione, conservazione e distruzione che si succedono senza fine. Come l’energia (che non si crea né si distrugge, ma può solo trasformarsi) anche l’anima è eterna ed esiste dall’inizio dei tempi (credenza nella preesistenza dell’anima prima della nascita); al termine del ciclo vitale, si trasferisce in un altro corpo, in una successione ricorrente di rinascite.

Nel “Canto del Divino”, un poema sacro del III secolo a.C., Krishna – l’incarnazione del dio Visnu – afferma: “Come una persona indossa vestiti nuovi e lascia quelli usati, così l’anima si riveste di nuovi corpi materiali abbandonando quelli vecchi e inutili”. Nel pensiero induista non esiste un’unica esistenza terrena, ma una successione di vite che mira a purificare l’anima fino a quando non sarà degna di raggiungere il “nirvana” – la beatitudine eterna – e sarà libera dal “samsara”, la successione delle morti e delle rinascite rappresentata dal simbolo della ruota. Il premio finale, l’eternità, non rappresenta, come per le religioni monoteistiche, il Paradiso (un luogo di gioia senza fine) ma solo l’affrancamento dal samsara.

Dall’induismo la credenza nella metempsicosi arriva in Occidente influenzando la religione mistica degli orfici, da cui passa, sebbene con alcune differenze, nella filosofia greca. La setta religiosa greca degli orfici trae il suo nome dalla leggendaria personalità di Orfeo. È però difficile determinare fino a che punto la figura del cantore tracio sia a fondamento della tradizione orfica, e fino a che punto invece ne dipenda. Sviluppatasi in Grecia nel VI secolo a.C., tale dottrina considerava la reincarnazione come mezzo di espiazione per ridare all’anima la purezza della sua origine divina, oscuratasi per essere discesa ad abitare il corpo umano in seguito a una colpa primordiale.

L’uomo, nell’orfismo, non è dunque immagine di Dio, ma una divinità caduta in disgrazia e perciò costretta a “vestire” una prigione di carne. La reincarnazione diventa un mezzo necessario non per uscire dalla ruota delle rinascite, ma per abbandonare le spoglie corporee ed entrare nei campi Elisi. La visione orfica dell’aldilà è innovativa e alla base delle credenze di inferno e paradiso quali noi intendiamo. All’idea omerica dell’Ade come scialba copia del mondo dei vivi e a quella pessimistica ellenica, secondo la quale è meglio non esser mai nati pur di non patire, l’orfismo – pur senza la forza intrinseca che è propria del Cristianesimo – contrappone l’idea dell’aldilà come luogo di premio o di punizione.

L’avvento del cristianesimo spazza via la rappresentazione circolare del tempo, di ispirazione orientale, per sostituirla con lo svolgimento sequenziale. Si parla esplicitamente di un’unica esistenza terrena seguita da una vita eterna in paradiso o all’inferno che dipende da come l’uomo si è comportato nel corso degli anni. Nessuna seconda chance è data all’individuo che può e deve invece confidare nella grazia divina hic et nunc una volta finito il tempo delle decisioni e del libero arbitrio. Rispetto alle dottrine pagane sulla metempsicosi, il mondo cristiano è su posizioni diametralmente opposte.