Libera maglietta in libero Stato

E'scoppiata in queste ore la polemica sulla maglietta Lacoste indossata da Carlo Calenda, l’ex ministro dello Sviluppo e neo parlamentare europeo. La maggior parte delle critiche riguarderebbe il fatto che non tutti se la possono permettere (costo da 65 a 75 euro); quindi una provocazione per chi non la potrebbe acquistare. Qualche anno fa – per la medesima maglietta indossata in un comizio – fui crocifisso da giornalisti polemici: scrissero che incitavo subliminalmente all’acquisto di quell’indumento. Sono sempre colpito da polemiche su cose così futili, perché? E' il segnale che la società talvolta scade così tanto culturalmente, che si discute persino sulla maglietta da indossare. Ora Calenda lo si può criticare sul suo operato di ministro (secondo me buono), ma quando si scade in altro, vuol dire che c’è qualcosa che non va nel costume e nella cultura. Vi ricordate la cosiddetta rivoluzione cinese maoista? Pretendeva, tra l’altro, che tutti vestissero sobriamente, con lo stesso colore e con lo stesso taglio di abito. Quello era populismo comunista! Anche il fascismo, in qualche modo, diede degli spunti analoghi. Infatti nelle ideologie dittatoriali, la persona deve annientarsi, omologarsi alle indicazioni del regime su ogni aspetto della vita. Ma in questi casi di accadimenti futili, mi vengono spontanei due sentimenti: il primo è la preoccupazione per i segnali che seppur piccoli, spingono verso un terreno favorevole ad una comunità che viaggia spedita verso l’irrigimentamento; l’altro è che io indosso quel tipo di maglietta, ininterrottamente da quando avevo quattordici anni, e non voglio assolutamente che qualcuno mi critichi o mi impedisca di indossarla