Volunteer in The World: alla scoperta della solidarietà

Intervista a Elena Massari, fondatrice e direttrice della cooperativa sociale onlus che permette a quanti vogliono mettersi in gioco di trovare la vacanza alternativa perfetta

Siamo oramai nel vivo della bella stagione e la voglia di vacanza si fa sentire. Nel post pandemia da coronavirus scegliere una meta potrebbe sembrare complicato, anche a causa di alcune frontiere ancora chiuse. Ma dove andare e cosa fare? Volunteer in The World, cooperativa sociale onlus di Bologna, fondata e diretta da Elena Massari, propone una vacanza alternativa per quanti hanno voglia di mettersi in gioco.

La vacanza alternativa

Un modo per coniugare relax e solidarietà, fare esperienza all’interno delle comunità locali della meta, ma con la possibilità di mettersi in gioco e al servizio degli altri. “L’obiettivo è quello di proporre progetti solidali che rimangano nella memoria e nel cuore di chi li ha vissuti – spiega Elena intervistata da Interris.it -. Vogliamo offrire ai partecipanti un viaggio speciale, lontano dai luoghi comuni, che lasci davvero un ricordo vero e differente: per riportare a casa non solo un souvenir ma emozioni autentiche e genuini spunti di riflessione“. Per il 2020 la vacanza alternativa ha una meta molto speciale: Malta. Dal 5 al 12 settembre, chi lo vorrà, potrà mettere i propri talenti al servizio della comunità e delle realtà no profit presenti sull’isola.

Elena, come funziona la vacanza alternativa?
“Siamo una cooperativa che offre consulenze a chi bisogno di visibilità: magari hanno dei progetti e non riescono a farsi conoscere, hanno bisogno di volontari competenti su determinate aree e settore, quindi promuoviamo queste associazioni. Ma aiutiamo anche chi vuole mettersi in gioco e offrire il tempo libero e mettermi al servizio di una realtà e creiamo il contatto. Negli anni sono nate delle collaborazioni con alcune scuole superiori che ci hanno chiesto di promuovere invece della classica vacanza studio, dei soggiorni dove c’era il valore aggiunto del volontariato. In base all’età dei partecipanti si possono organizzare diverse cose: per una settimana le persone vanno all’estero e danno una mano alla comunità locale partecipando alle attività dei centri estivi o all’interno di negozi solidali; oppure qualcosa di più soft come abbiamo provato a creare su Malta. Si tratta di un’iniziativa che unisce la possibilità di migliorare una lingua, vivere con le persone del posto e, allo stesso tempo c’è la possibilità di andare a pulire le spiagge. Bisogna comunque sostenere i costi vivi, come il volo, il vitto e l’alloggio, però è alternativa perché è a contatto con la gente locale e si mette al servizio della comunità”.

Questa attività solidale potrebbe essere un modo per far capire ai giovani – ma non solo – l’importanza della condivisione, dello stare insieme e abbattere le barriere culturali?
“Assolutamente sì. Quello che facciamo, al di là del 2020 che è stato un anno un po’ particolare, per noi è molto importante entrare nelle scuole e far capire ai ragazzi che ci sono anche modi di viaggiare diversi: non solo la classica vacanza, ma conoscere realtà diverse. Poi bisogna sempre tenere conto dell’esperienza che chi abbiamo di fronte è disposto a fare: più soft o più impegnativa. In base a questo proponiamo cose diverse. Ad esempio, sulla Grecia abbiamo un progetto che è all’interno di un centro per rifugiati. Non si tratta solo di dire: “Parto, vado a dare una mano”, ma l’importante è tornare a casa arricchiti, dopo aver abbattuto le barriere culturali, il razzismo e gli stereotipi. E’ un modo per fare nuove amicizie”.

Fino a quale età è possibile partecipare?
“Non c’è un massimo di età, noi abbiamo solo un minimo. Come esempio porto sempre quello di due signore in pensione di 68 anni, ci hanno contattato due anni fa spiegando che avevano molto tempo a disposizione e con la voglia di fare qualcosa di diverso. Per la prima volta in vita loro, a 68 anni, si sono messe in gioco e hanno trascorso tre settimane in Grecia e hanno insegnato l’inglese e il tedesco a un gruppo di rifugiati ad Atene. Sono il classico esempio che questo tipo di esperienza si fa a qualsiasi età. Noi chiediamo che i partecipanti ai progetti abbiano dai 16-18 anni in su, non c’è età massima. A volte partecipano anche famiglie con figli adolescenti che vedono questo tipo di vacanza un modo per far superare ai ragazzi alcuni tipi di problematiche, un’esperienza forte che possa dare loro una scossa per far comprendere che la vita è importante e non può essere gettata via. Abbiamo, in questi anni, avuti un riscontro positivo. Online ci sono molte opportunità, alcune bellissime offerte dalla Comunità europea, ma non è chiara la comunicazione. Le persone non riescono a trovare la strada giusta per realizzare questo percorso”.