Vignola (Cesvi): “I nostri interventi a Buča, un gesto di amore e di cura”

L’intervista di Interris.it al vicedirettore generale della ong di Bergamo Fondazione Cesvi Roberto Vignola

Dall’orrore dei corpi lungo le strade all’impegno per tornare, per quanto possibile mentre c’è un conflitto in corso nel paese, a una vita normale, grazie anche alla solidarietà italiana. Buča è oggi una città spopolata, ma è chi è rimasta gente coriacea, forte, dignitosa, che opera per lasciarsi alle spalle la guerra e l’emergenza, partendo dal ripulire il proprio centro abitato almeno dalle macerie. E da una città italiana simbolo della pandemia di Coronavirus, Bergamo, arriva un aiuto, un gesto di speranza, a una della città martire della guerra in Ucraina. “Una speranza che supera l’assistenza, perché si fonda su dei progetti che, una volta partiti, devono camminare sulle proprie gambe e passano in mano ai cittadini”, spiega a Interris.it il vicedirettore di Fondazione Cesvi Roberto Vignola, l’organizzazione non governativa italiana che già fornisce assistenza umanitaria ai profughi ucraini in Ungheria e in Romania oltre che nelle zone del paese, da Leopoli a Dnipro, meno teatro di bombardamenti e scontri. E ora è la prima ong italiana ad arrivare a Buča. Lo scopo di questa presenza, è, una volta compresi quali siano i bisogni principali dei cittadini, stabilire quali sono le aree d’intervento in cui Cesvi può far partire i suoi progetti, finanziati da un fondo di 500mila euro raccolto grazie alla campagna gofundme.com/cesvibucha.

© Konstantin Tyunikov

L’incontro

Lo scorso 29 aprile c’è stato primo incontro tra il sindaco di Buča Anatoliy Fedoruk e il direttore generale di Fondazione Cesvi, Piersilvio Fagiano, in  cui sono state definite le priorità della popolazione, dalle infrastrutture ai servizi abitativi e sociali. “Essere tra i primi italiani a rispondere a un appello di intervento da parte delle autorità locali ci rende fieri del contributo che potremo portare pur in questo contesto drammatico. Siamo pronti a portare la nostra esperienza internazionale e il nostro modello dinamico tipico di una ong italiana che da sempre ha agito in contesti emergenziali, non con modelli precostituiti”, ha affermato Fagiano, specificando come quello di Cesvi sia “un approccio che parte dai territori, dalla collaborazione con la società civile e le istituzioni locali”. “Questa sarà una stretta collaborazione a lungo termine che coinvolgerà lo sviluppo della città nella sfera sociale”, così il primo cittadino della città ucraina. “Abbiamo definito i bisogni concreti della gente di Buča e stabilito un elenco delle cose più importanti di cui la nostra città avrà bisogno nel prossimo futuro per garantire una ripresa di normalità, soffermandoci sui servizi abitativi e sociali”.

L’incontro tra il sindaco e il dg di Cesvi © Konstantin Tyunikov

Azione nell’emergenza

In cosa consista tale modello dinamico, lo spiega Vignola. “Siamo abituati a intervenire nelle emergenze, dai terremoti in Italia ai tifoni in Nepal, per cui non seguiamo lo sempre lo stesso schema ma partiamo dai bisogni del territorio”, illustra il vicedirettore di Cesvi. “Arriviamo sul posto con un ampio spettro di competenze che vanno intersecate con i bisogni della realtà dove ci troviamo e, dopo una fase di valutazione, ragioniamo con le amministrazioni, i rappresentanti dei vari mondi, dal lavoro alla sanità all’istruzione, e la società civile. Le idee vanno maturate, condivise e verificate insieme”.

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L’intervista

Il vostro primo aiuto agli ucraini sono stati sia centri di accoglienza per profughi negli Stati vicini sia quelli proprio in Ucraina. Quale supporto fornite alla popolazione civile?

“Cesvi ha dei centri accoglienza alle frontiere di Ungheria e Romania e nelle zone dell’Ucraina non troppo al centro degli scontri, da Leopoli a Dnipro, in cui diamo aiuto, cibo, supporto psicologico a donne, persone anziane e persone con disabilità, per chi ha subito traumi, e attività ludico-creative per i bambini. Alcuni spazi, come centri commerciali, sono messi a disposizione dal governo ucraino, e noi li allestiamo mettendoci delle cucine, ampliando il numero dei servizi igienici e gestiamo i safe space centers per l’infanzia. E siccome vogliamo dare dignità e sostegno economico alle persone, coinvolgiamo la popolazione locale. Uno dei nostri asset “istitutivi” è proprio il ricorso alle risorse umane del territorio”.

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Che situazione avete trovato a Buča?

“E’ una città spopolata dal conflitto, passata da 30mila e 3-5mila abitanti, in cui si lavora alacremente allo sminamento, perché c’è serio di pericolo di trovare delle mine anche nelle abitazioni. Rispetto però alle immagini delle macerie che hanno mostrato le televisioni, una volta giunti qui abbiamo trovato le strade ripulite, una grande mobilitazione di cittadini e militari. Un gesto simbolico di ripartenza per lanciare il messaggio che la fase di crisi acuta è superata”.

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Come si articoleranno i vostri interventi nella città?

“Con il sindaco Fedoruk ci siamo confrontati sulle varie esigenze rilevate dalla popolazione, dal bisogno di nuovi mezzi pubblici alla ricostruzione degli edifici scolastici, passando per il rafforzamento dei servizi sociali per la tutela della salute mentale delle persone che, a causa della guerra, soffrono di disturbo post traumatico da stress. In accordo con le autorità locali, la nostra équipe tecnica sta stilando una lista priorità. Noi di Cesvi siamo orientati sulla ricostruzione delle scuole, sull’accesso all’istruzione e al gioco, e sul supporto psicosociale alle categorie più fragili. Vogliamo trasformare questi interventi in un gesto di amore e di cura. E la nostra opera qui può diventare ancora più importante con l’eventuale gemellaggio tra Buča e Bergamo, che è stata la città simbolo della pandemia. Ci piacerebbe che, come avvenuto da noi due anni fa, si attivassero sinergie, si coinvolgessero le maestranze e gli operatori della sanità”.

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Amore, cura, speranza: il vostro gesto è ricco di significati.

“Voler dare a queste persone un gesto di speranza nasce da constatazione: dopo quasi due mesi di guerra – e una quarantina di giorni spesi in primo soccorso ai profughi, alle mamme e ai bambini, con forte coinvolgimento e forte stress emotivo – e dopo la ritirata dei russi dall’area di Kiev, si possono fare tante altre attività, oltre l’emergenza. E questa idea è stata corroborata da quanto abbiamo visto a Buča: una città rimessa in sesto, con una popolazione, forte, coriacea e dignitosa, pronta a voltare pagina e a tornare alla normalità”.