Le troppe crisi armate dimenticate in Africa

Il vile attentato perpetrato nella regione Nord Kivu della Repubblica Democratica del Congo nel quale hanno perso la vita l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il Carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista del P.A.M. Mustapha Milambo ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica le crisi armate ed i cosiddetti conflitti a bassa intensità che da tanti, troppi anni, hanno lacerato il tessuto sociale, politico ed economico di diversi paesi del continente africano.

Rispetto a quanto precedentemente esemplificato è fondamentale ricordare che, dagli anni ’60 – in cui svariati paesi africani hanno conquistato l’indipendenza dai paesi coloniali – ad oggi, vi è stato l’avvio di quella che viene definita la storia nuova degli stati africani indipendenti con rispettive ambizioni ed ispirazioni.

Purtroppo le iniziative di supporto fino ad ora poste in essere dalla comunità internazionale per coadiuvare ed incentivare i processi di indipendenza nel continente africano – soprattutto durante la contrapposizione tra il blocco americano ed il blocco sovietico – si sono limitati a considerare l’aspetto legato prevalentemente alla sicurezza e spesso ciò si è limitato ad un combattere conflitti armati per procura attraverso diverse compagini statali sostenute rispettivamente dagli Usa o dall’URSS, causando immani sofferenze tra la popolazione civile.

A tal proposito è doveroso ricordare la guerra dell’Ogaden combattuta tra la Somalia governata da Siad Barre sostenuta dagli americani e l’Etiopia socialista coadiuvata dai sovietici; questo conflitto causò immani sofferenze e distruzione tra la popolazione civile ed oltre 12.500 vittime.

In seconda istanza è doveroso sottolineare che, dopo la fine della Guerra Fredda, nel continente africano si sono verificati e permangono tuttora numerosi conflitti armati e forti tensioni politiche latenti, foriere di conflitti inter-statali. A titolo di esempio si citano il genocidio occorso in Ruanda nel 1994 che causò oltre 1 milione di morti tra la popolazione civile, il conflitto tra Etiopia ed Eritrea che in due anni di ostilità armate tra il 1998 ed il 2000 causò oltre 40000 vittime.

Oltre a ciò, negli ultimi anni, i cosiddetti conflitti asimmetrici perpetrati da Isis e da al – Qa’ida nella regione del Sahel e nell’Africa Centrale che stanno causando numerose vittime innocenti e destabilizzazione politica nelle compagini statali coinvolte.

Alla luce di quanto detto, è fondamentale che le nazioni facenti parte del G8 attuino nel continente africano una politica diversa in grado di lasciare definitivamente alle spalle la visione post coloniale e contestualmente in grado di incentivare l’autodeterminazione dei popoli come sancito dalla Carta delle Nazioni Unite.

In particolare, il processo di sviluppo e pacificazione dell’Africa deve essere svolto attraverso una oculata politica di sviluppo economico e sociale di stampo umanistico, che metta al centro la persona. Oltre a ciò deve essere previsto un massiccio impegno di forze di peacekeeping addestrate in maniera più accurata ed approfondita al fine di incentivare il processo di pacificazione in proficua sinergia con le locali forze dell’ordine. Queste, una volta addestrate in maniera accurata, sapranno affrontare al meglio le minacce alla sicurezza pubblica e coadiuvare la popolazione in un processo di rinascita.

In ultima istanza è fondamentale che ogni aiuto all’Africa sia messo in campo privilegiando la diplomazia internazionale ed il dialogo con i popoli affinché la mirabile opera di pace e l’estremo sacrificio dell’ Ambasciatore Attanasio, del Carabiniere Iacovacci e dell’autista Milambo costituiscano un monito perenne per la pacificazione del continente africano in ossequio al fulgido pensiero di Papa Paolo VI che disse: “Per avere una vera pace, bisogna darle un’anima. Anima della pace è l’amore”.