Todi Festival, la cultura come motore della rinascita

Dal 3 al 6 settembre, al via una delle più importanti rassegne culturali d'Italia. Una risposta alla pandemia e ai componenti del settore dello spettacolo, messi a dura prova dall'emergenza sanitaria

“La cultura è il nostro petrolio”. Parla in senso figurato Eugenio Guarducci, da cinque anni direttore del Todi Festival. Ma soprattutto parla dell’Umbria, cuore dell’Italia e catino inesauribile di bellezza. Arte, paesaggi e storia si intrecciano in una cornice quasi unica nel nostro Paese che, all’onda di piena del coronavirus, non poteva che reagire attraverso il suo lato migliore. Ed è proprio la cultura la padrona di casa al Todi Festival, al via a partire dal 3 settembre per una quattro giorni che la dice lunga sulle novità alle quali ha costretto l’emergenza sanitaria. Una riduzione sensibile della durata (9 le giornate inizialmente previste), norme di sicurezza da garantire ma, al contempo, tanta voglia di portare in scena, dal vivo, l’essenza stessa dello slancio culturale. Un motore della rinascita e un segnale per l’industria dello spettacolo, messa a dura prova dal Covid-19.

 

Direttore, l’impatto del coronavirus si è fatto sentire anche nell’ambito della cultura. Il Todi Festival dà una risposta importante, pur nelle difficoltà…
“Le difficoltà ci sono state nella ristrettezza dei tempi con i quali abbiamo dovuto organizzare il palinsesto del programma, ridotto da 9 giorni a 4. Questo per via del condizionamento dovuto a quanto accaduto. Guidati dalla parola chiave, che è prudenza, ci siamo dedicati con entusiasmo alla riprogettazione del Festival, nella consapevolezza di dover dare un segnale alla città di Todi e alla regione Umbria di ripresa della cultura e dell’industria creativa in generale che, chiaramente, nel nostro Paese hanno subito gravi ripercussioni e per i quali, con più ritardo, si è riusciti a ripartire”.

Tornare a respirare il teatro in presenza è un segnale rilevante, anche per offrire un ulteriore strumento alla cittadinanza per riappropriarsi di una quotidianità stravolta dall’emergenza…
“Certamente. Dopo una serie di ambiti economici produttivi che era necessario ripartissero, era il momento della cultura, che non può essere sempre un fanalino di coda. Anzi, sappiamo bene quale ricchezza produce per i territori, specie per regioni come l’Umbria, dove il nostro petrolio sono i paesaggi, l’arte e la cultura. E questa va tutelata e promossa anche quando ci sono difficoltà così imprevedibili. E’ un segnale di incoraggiamento per gli operatori dietro le quinte, perché ricordiamo come dietro un ballerino, un attore c’è una ‘fauna’ di personaggi come i tecnici, gli allestitori e gli scenografi, che più dei primi hanno subito il tracollo della produzione artistica. Categorie che sono state protette in maniera magari non adeguata rispetto a quello che ci si aspettava. La ripartenza di questi eventi sta a significare la volontà di dare una mano a questo settore produttivo e alle sue componenti umane”.

In questo senso, lo spettacolo dal vivo, pur nelle limitazioni dovute alle norme di sicurezza, può rappresentare l’espressione di un Paese che, nonostante tutto, continua a puntare sul valore della cultura?
“E anche come spinta morale che può dare a queste persone, non solo ai protagonisti ma anche alla platea di protagonisti che stanno dietro le quinte. Li abbiamo visti soffrire, così come abbiamo sofferto anche noi. Vorrei ricordare un’azienda che si occupa di costruire palchi e scenografie, ferma per diversi mesi e che sta faticosamente iniziando ora a riprendere il suo lavoro. E il segnale del Todi Festival, unito a quelli offerti da Todi Jazz e dal Festival di Spoleto, contenitori culturali importanti per l’Italia, ci fanno sperare che ci sia un ritorno progressivo alla normalità, anche se sappiamo che il ritorno a una piena normalità ancora non è pronosticabile”.

Esordio con Era un fantasma di Arianna Mattioli, con Lorenzo Lavia e Lodo Guenzi. Un debutto interessante…
“E’ la storia di una lunga giornata durante la quale Claudio, il protagonista, attende l’arrivo del figlio Arturo e degli altri due figli. Un confronto familiare di vita comune, con le tensioni che ci possono essere, che viene interpretato da questi quattro protagonisti con il testo di Arianna Mattioli. Ci ha fatto piacere che la produzione, quindi Monica Savaresi, di questo spettacolo abbia scelto Todi per un debutto che ci auguriamo possa portargli fortuna. Negli anni, questa cosa l’abbiamo vista accadere: gli spettacoli che partono a Todi sono sempre apprezzati sui circuiti teatrali italiani”.

Chiusura affidata a Max Gazzè con Quel che la musica può fare. Anche qui, un messaggio significativo, che ci riporta al senso profondo di questo Festival…
“La scelta di Max Gazzè è maturata per due motivi. Innanzitutto perché è uno degli artisti più importanti nella musica autoriale italiana, e poi anche dopo aver visto muoversi, fra i primi tra coloro che hanno fatto una scelta etica importante, ovvero ridursi il cachet per favorire la ripresa del concerto in piazza. Il quale, chiaramente, sarebbe stato impossibile se da parte dell’artista non ci fosse stata la consapevolezza della riduzione dei propri compensi. Dando un’occasione in più a quella platea di persone di cui parlavamo. La scelta di Max Gazzè di difendere questo patrimonio di esperienze da parte di alcuni artisti, l’abbiamo molta apprezzata e l’abbiamo contattato per averlo con noi”.