Il “time prospective”: un nuovo modo di concepire il presente in vista della ripresa

La ripresa universitaria raccontata da una docente. Emozioni e paure, con un occhio al passato e un altro al futuro per cercare di andare avanti senza farsi prendere dal panico.

“Quest’anno la ripresa sarà condizionata inevitabilmente dall’andamento della pandemia da COVID-19 e per questo le persone stanno sperimentando una notevole incertezza. Il confronto con i vissuti di incertezza può essere di per sé fonte di disagio, poiché ci mette in contatto con l’incapacità di prevedere ciò che potrebbe accadere nell’immediato futuro e con l’impossibilità di pianificare la nostra vita”.
Con queste parole la professoressa Francesca Baralla, psicologa e ricercatrice presso l’Università degli Studi del Molise apre l’intervista di Interris sulla ripresa delle attività accademiche che a breve torneranno ad affollare le aule e i corridoi universitari. Ma nulla sarà come prima, almeno finché non ci sarà un vaccino che farà dimenticare definitivamente questo incubo chiamato Coronavirus.
La paura è tanta, come vivere la ripresa?
“Per fronteggiare il disagio legato all’incertezza è possibile che le persone abbiano modificato la loro caratteristica “time perspective”, per dirla con Philip Zimbardo, essendo portati ad essere più orientati sul tipo presente-fatalistico, in cui si tende a vivere pensando prevalentemente al momento presente, restando intrappolati e sentendosi impotenti, alla mercé di un futuro considerato inevitabile. È importante riconoscere l’importanza ed il peso dello stato di incertezza, come anche il sovraccarico emotivo che ne deriva, oltre alla paura, in questa ripresa”.
Le lezioni riprenderanno in presenza, così come anche gli esami, ma continuerà ad esserci contemporaneamente anche la didattica on line.
Come influirà sulla mente degli alunni? Da docente pensa sia una scommessa vinta? 
“In questo momento è di fondamentale importanza garantire alle persone la possibilità di scegliere se andare in presenza o continuare a fruire della didattica a distanza. Questa pandemia ha rivoluzionato la formazione e la modalità di erogazione e di fruizione della formazione stessa, consentendo con modalità straordinarie di continuare le attività anche durante il difficile periodo del lockdown. Abbiamo partecipato al gioco e gestito in modo virtuoso la crisi: si può dire una vittoria”.
“Occorre riconoscere lo sforzo fatto anche dalle Università per riaprire in sicurezza, con protocolli ormai condivisi, ma dobbiamo ricordare che molte persone raggiungono le sedi universitarie con i mezzi pubblici e occorre garantire anche gli spostamenti in sicurezza. Sapere di poter usufruire della didattica a distanza consentirebbe di adattare la frequentazione delle lezioni, senza rinunciarvi, nelle diverse e assai mutevoli condizioni che il nostro immediato futuro prospetta. Come abbiamo imparato in questo periodo, la distanza non è e non sarà mai la normalità, ma è una temporanea necessità”.
Come ha vissuto il lockdown? Cosa ha percepito dai racconti dei ragazzi?
“Il lockdown è stata un’esperienza che ha segnato la mia vita e che ricorderò per sempre, soprattutto per i vissuti di estraneità e di isolamento che lo hanno accompagnato. Mi sono spesso trovata ad ascoltare dagli studenti racconti di preoccupazione per la salute dei familiari, di angoscia di contagiare persone malate o, meno spesso, di paura di essere contagiati, storie di auto-isolamento, di distanze dolorose e di solitudine. Gli incontri con gli studenti sono stati un appuntamento praticamente quotidiano del mio lockdown: non ho mai sperimentato un contatto ed una vicinanza così intensa e frequente. Anche questo è stato un importante momento di socialità e condivisione, reso possibile anche dalla presenza della piattaforma didattica che è stata utilizzata per incontrarsi con gli studenti, come con i colleghi, anche al di fuori dei momenti strettamente didattici. Abbiamo fatto tutti uno sforzo notevole per fronteggiare un periodo complesso e abbiamo trovato, anche grazie agli strumenti forniti dall’Università, dei modi per continuare a stare in contatto, pur se in isolamento”.
L’unimol ha aperto uno sportello di assistenza per il sostegno degli alunni.
Questo progetto che risultati ha dato? Andrà ancora avanti?
“Il servizio di counseling psicologico gratuito, svolto insieme al Prof. Marco Marchetti, è stato attivato all’inizio del lockdown, è ancora attivo e continuerà ad esserlo anche nel futuro. Gli studenti hanno aderito con fiducia e hanno parlato apertamente dei loro problemi e difficoltà. Sono emerse storie di grande sofferenza e di difficoltà, anche risalenti nel tempo, e attualizzate o esacerbate dalla situazione di solitudine e di isolamento della quarantena. Abbiamo poi ricevuto molti messaggi di ringraziamento per il sostegno e la vicinanza che abbiamo saputo offrire. L’Ateneo ha prontamente messo a disposizione della comunità un servizio, sapendo guardare alla complessità della situazione ed intercettando un bisogno che si è rivelato esistente e necessario”.
Quanto è importante lavorare ed apprendere in presenza e quanto è mancato? “Lavorare ed apprendere in presenza è fondamentale, ne abbiamo sentito la mancanza e continueremo a sentirla. Ci stiamo abituando, solo per adattamento alla presente situazione di rischio, ad adottare mezzi e contesti di apprendimento alternativi alla presenza. Essere in aula con le mascherine e distanziati, sarà una forma di contatto alternativa che caratterizzerà il prossimo futuro. Torneremo nel tempo ad avere il contatto interpersonale a cui siamo abituati”.
Quali sono le principali paure per i prossimi mesi?
“Nella letteratura specialistica troviamo descritte delle condizioni che scatenano delle reazioni di paura legate al COVID-19. Sappiamo che le nostre reazioni emotive possono essere influenzate da una specifica condizione oggettiva o soggettiva: pensiamo alle persone anziane, che hanno problemi cardio-vascolari o respiratori, o ai pazienti oncologici o diabetici; come anche a condizioni di fragilità psichica. In un lavoro appena pubblicato nel Journal of Anxiety Disorders da Mertens e collaboratori, sono stati individuati i più frequenti predittori della paura, ossia una condizione di vulnerabilità psicologica (intolleranza dell’incertezza, preoccupazione ed ansia per la salute) o una esposizione ai media e ai social network, insieme alla rilevanza del problema a livello personale (salute personale, rischi per le persone care e controllo del rischio di contagio). Pertanto le paure saranno diverse e avranno una diversa intensità a seconda delle condizioni di salute fisica personali o dei nostri cari. È importante ricordare che la paura, come tutte le emozioni, è una risposta adattiva che ci consente di orientare il nostro comportamento: una sana paura ci porterà ad avere consapevolezza dei rischi e comportamenti più sicuri. Dobbiamo sapere essere in contatto con questi vissuti emotivi e riconoscere che è fisiologico avere paura in una condizione quale quella che stiamo vivendo e ricordare che non siamo soli e che ci sono persone pronte ad aiutarci”.
Che cosa insegna questo periodo?
“Credo che non sia facile trovare la morale di una storia che stiamo ancora scrivendo. Forse ora dovremmo concentrare le nostre attenzioni su altro, per poi fermarci a riflettere solo quando questa situazione sarà superata. Questa storia ci ricorda che dipendiamo gli uni dagli altri e che ciò che facciamo ricade anche sugli altri. Ci ricorda che siamo fragili, anche se mostriamo solo la nostra forza, e che la nostra mente per sopravvivere ed affrontare le difficoltà ha bisogno di altre menti. Perciò un invito: #sintonizziamoci”.